Oltre a un'immensa ammirazione verso il genio e la delicatezza di un vero poeta qual era Rodolfo Cimino, ho un preciso ricordo che mi lega a lui, pur non avendolo mai potuto conoscere di persona.
La prima storia ciminiana che mi capitò di leggere fu
Zio Paperone e il Veliero d'argento, l'ultima che il Maestro ebbe tempo di scrivere su questa terra. Ma io non lo sapevo.
All'epoca, novello lettore, divoravo le storie saltando a piè pari tutte le pagine di redazionali e ancor più i nomi degli autori: l'importante erano le storie e basta (e il
Che aria tira, in questo caso dedicato al Veliero e inusualmente poetico, il che mi lasciò perplesso). Per questo ignoravo l'importanza di quella storia, ma... avevo intuito che qualcosa mi sfuggiva, e non erano solo i paroloni astrusi.
Difficile a spiegarsi, ma quella storia era diversa dalle altre. Anche il me di 10 anni capì che nelle strane parole di Paperone (ad esempio "Quante volte ho doppiato Capo Horn da ragazzo." Ma in che senso?), in Carliseppe, nell'atmosfera dell'isola... c'era qualche significato più profondo. Qualche metafora forse, che a 10 anni non potevo cogliere ma che magari avrei capito in futuro.
Perché tale era il talento di Cimino, capace di suggerire qualcosa, un sentimento, una riflessione, anche quando non lo si poteva (ancora) veramente capire.
Ricordo bene che pensai questo. Mi riproposi di rileggere quella vicenda dopo qualche anno, per provare a capirla.
Nel frattempo ricevevo montagne di fumetti anche d'epoca da tutti i parenti, che si erano assicurati idee regalo efficaci per anni, e leggevo e leggevo. Iniziai a distinguere alcuni stili di disegno unici e quindi imparare i nomi dei disegnatori (lo ammetto, il primo che imparai a riconoscere era "quello bravo", prima di apprendere che si chiamava Giorgio Cavazzano).
Poi i nomi degli sceneggiatori, anche se, a differenza dei disegnatori, erano quasi impossibili da riconoscere, se non per la firma a piè di pagina.
Ce n'era però uno che si distingueva, nei giornalini degli anni passati.
Non disegnava, dunque non aveva uno stile grafico riconoscibile, eppure già dal titolo nel sommario, quando leggevo cose come "Zio Paperone e il Maxisombrero dei Sombreritos" o "Zio Paperone, il cuore del mondo e la perfetta letizia" si capiva che l'aveva scritta lui. Guardando la quadrupla d'apertura e leggendo i surreali dialoghi, poi, se ne aveva la piena conferma. Questo lo raccontano tutti.
Nei giornalini di mio fratello, di pochi anni antecedenti i miei, il nome sotto queste storie era sempre "Rodolfo Cimino". In quelli più datati il nome non c'era, ma si riconosceva lo stesso.
Ma Rodolfo Cimino non era solo i suoi stilemi "esteriori", era un vero cantastorie, capace come nessun altro di farmi volare con la fantasia, di farmi sognare terre immaginifiche, creature incredibili e mezzi di locomozione... quantomeno improbabili.
Capace di incantarmi con un Paperone irresistibile e umano come nessun altro (Barks lo conoscevo poco).
Capace di farmi sbellicare, ma anche riflettere. Adesso sì.
E iniziai a reputarlo il mio sceneggiatore del cuore.
E dopo qualche anno mi decisi.
Continuavano ad accumularsi
Topolini nuovi, troppi per mettersi a rileggere quelli già letti, ma mi ricordai sempre di quella storia strana che non avevo capito e che volevo riprendere.
Ora non so che anno fosse. Era passata una manciata di anni, non molti, ma avevo deciso che ero abbastanza grande.
Di certo avevo già imparato il suo nome, perché ricordo bene cosa pensai.
"Toh, ma pensa, è scritta da Cimino. Non ci avevo fatto caso. Ed è pure disegnata da Cavazzano".
Poi la lettura, dalla quale effettivamente ci capii due cosine in più (ma neanche tante. La rilessi comunque più volte in seguito).
E arrivato a fine lettura, quel redazionale che la prima volta non avevo notato.
Ci restai veramente male. Lui era stato morto per tutti questi anni ed io, senza saperlo, mi ci ero appassionato. E ironicamente la sua ultima opera, il suo lascito, fu la prima che lessi, senza nemmeno curarmi di chi l'avesse scritta.
Ero fuori tempo massimo, ma in qualche modo era come se l'avessi conosciuto comunque.
E alla fine tutti quelli che l'hanno incontrato di persona raccontano che era esattamente la persona che traspare dalle sue storie. Proprio come lo immaginavo io: un nonno ideale, gentile, umile e molto saggio, esattamente come la Nonna Papera dei suoi Racconti, capace di incantare lettori (o ascoltatori) di ogni età, in ogni tempo, con le sue storie dalla trama spesso semplice, ma pregne di sentimento e, lo ripeto, di saggezza.
Una saggezza che deborda e riesce a toccare anche un bambino di 10 anni che non sa a cogliere la profondità di quelle metafore.
Una potenza espressiva a stento contenuta nell'estrema delicatezza con cui solo lui sapeva trattare la morte dei marinai compagni di Martin, o i drammi interiori di Reginella...
E allo stesso modo ancora anni dopo, già ventenne, quando mi capita finalmente di leggere la meravigliosa
Il tamburino e i 3 Soldi del Destino, al vedere la vignetta in cui Tom abbraccia la mamma, non riesco a trattenere le lacrime. Piango.
Una delle rarissime volte in cui mi commuovo veramente per una storia a fumetti.
Non so perché, non è una scena drammatica, anzi è un lieto fine. Semplicemente la potenza e la delicatezza sono tali da farmi piangere.
E questo, ancora una volta, prima di leggere il redazionale (adesso non saltato, solo rimandato a fine storia) in cui il disegnatore della storia, Cavazzano, racconta di aver cercato d'infondere su carta la stessa emozione di Cimino, al telefono, che commosso fino alle lacrime gli aveva raccontato di quando la stessa cosa era accaduta a lui e alla sua mamma.
A trasmettere queste emozioni, a me e a chissà quanti altri prima e ancora in futuro, certo non è soltanto il grande talento del disegnatore, ma qualcosa di più.
Qualcosa di suo. Di unico e inimitabile.
Da cercare a Sombrerolandia o più lontano, come su Pacificus. Magari proprio a bordo di un Veliero d'argento.