Che cos'è che definisce uno stile? Che cosa rende uno stile perfettamente riconoscibile, un tratto, un'interpretazione di una maschera generica che si individualizza in un'unica possibile penna? Che cosa denuncia nel Paperino qui di seguito la necessaria attribuzione chierchiniana, l'assoluta filiazione dalla sua matita e dal suo ingegno? Le spalle contratte, il volto desolato che indica una certa inabilità alla vita, un senso di alienazione che trasuda costantemente dal carattere sorvegliato, trattenuto delle composizioni spaziali di Chierchini, i volumi sono ben identificati nelle loro sagome, fra i soggetti di una medesima vignetta vi sono solitamente degli spazi che disorientano, quell'horror vacui tanto temuto nelle produzioni disneiane non desta qui alcun complesso, ma è piuttosto evocato come cifra stilistica, un vuoto pneumatico che radicalizza ed esplicita l'incomunicabilità fra gli individui. Il sapiente e largo uso delle ombre, che si addensano ai bordi dei tetti delle case, che risalgono invadendo e contendendo alla luce i lembi dei vestiti, più su fino a insinuarsi nei volti, negli angoli degli occhi, aiutati in questo da un piacere inconsueto per la linea retta, spezzata, folte sopracciglia acuminate e gomiti ad angolo retto, rende Chierchini autore gotico per eccellenza, maestro nel tratteggiare le atmosfere di antichi manieri e segrete dimenticate.
Un dolente cinismo emana da quei sorrisi di sbieco, spesso cattivi, l'amarezza di un mondo dove non vi è giustizia ne tantomeno riscatto per il debole, i disegni, talvolta più eloquenti della stessa sceneggiatura, riaffermano la sorte del vinto, incompreso eroe peregrino nella marcovaldesca maledizione di un destino fantozziano.