Io però ponevo l'accento proprio sulla differenza. Su come il disegno disneyano, data l'economia che si deve comunque mantenere, non lascia ai suoi interpreti tutte le strade che si possono percorrere nell'arte tradizionale (dove puoi andare sulla tecnica, sull'iperrealismo, sul colore, sull'espressione etc.) ma li "imprigiona" per così dire in un canone abbastanza rigido.
E mi stupisce e mi appassiona come gli artisti siano riusciti a muoversi in questo spazio così ridotto. Secondo me questo questo contesto li ha portati ad esprimersi in qualcosa di più che nell'arte del disegno a fumetti. C'è una ricerca psicologica, e c'è il dramma (nel senso di azione. Un fumettista, come un animatore, è anche un po' un attore).
Per questo motivo secondo me il fumetto Disney ha una profondità, una nobiltà come dici tu, che va oltre la semplice tecnica di disegno - che pure per molti degli interpreti che conosciamo è sopraffina - e che lo fa diventare un'arte, che dà vita ad una relativa cultura della stessa (e questo forum lo dimostra).
Non posso dire di ritrovare le stesse cose quando leggo un fumetto di altro tipo, oppure quando guardo i lavori di un illustratore. Sì, ci sono dei maestri per cui si può fare un discorso simile, ma quando prendiamo i disneyani possiamo farlo pressoché con tutti.
Mi sono convinto che il disegno di topi e paperi sia un po' come l'haiku giapponese. Avete presente, quella forma di poesia giapponese di tre versi, diciassette sillabe. In Giappone la pratica anche la gente comune, non solo i poeti: dicono che la semplicità e i rigidi canoni del componimento portino l'uomo comune a guardare l'essenza delle cose, il profondo; quasi un effetto terapeutico. Ecco, il disegno disneyano è un po' così, e non è qualcosa di confinato a "geni", ad un Raffaello o a un Elvgren.