l'opera letteraria è in primo luogo un rapporto tra due persone, l'autore e il lettore, e se entrambi sono italiani, perchè non far mangiare la pasta a Paperino?
Infatti. E io mi chiedo: perchè i personaggi di Harry Potter usano le scope come mezzo di locomozione? D'altronde, sia l'autrice che i lettori adoperano l'automobile, no? Allo stesso modo, sostituiamo tutte quelle astronavi dai film di fantascienza con delle pratiche corriere o, al massimo, tram cittadini
:
Non capisco se è una boutade.
I personaggi di Harry Potter usano le scope
precisamente perchè la gente che viaggia sulla scopa
non è un connotato del mondo abitato da autrice e lettore, e precisamente perchè viaggiare sulla scopa è un connotato di maghi e streghe nel background culturale/mitologico
comune a autrice e lettore.
Dunque, quando il lettore vede un tizio salire a cavallo di una scopa, può concludere immediatamente che
si tratta di un mago.
Infatti, Harry Potter è una (pessima) collana di genere
fantastico.
La parte sul background culturale
comune non è così banale: per esempio, lo sapevi che il protagonista munito di coda di scimmia che si sposta su una nuvola di Dragonball viene immediatamente riconosciuto da qualsiasi lettore asiatico come un parente prossimo di
Sun Wukong?
Di contro, se lo scopo è ritrarre un realistico, economico pranzo
quotidiano, non vedo per quale motivo "un piatto di pasta", comune al background di autore e lettore, non possa andare bene.
Per disegnare i nipotini che passano il tempo in modo
casual, li si farà giocare al gioco che tutti i bambini muniti di Super Tele da duemilalire improvvisano in cortile: si ritrarrà dunque il calcio e più difficilmente il baseball, percepito come "quotidiano" solo dal piccolo lettore americano.
Di più: se è possibile ricavare un buono spunto narrativo dalla burocrazia italiana, perchè Paperino non può servellarsi per compilare l'O.R.P.E.F.?
Funziona, è comune al background di autore e lettore e può essere inteso senz'altro nel modo corretto.
Il tutto va, naturalmente, a cadere quando si ha una delle due pretese seguenti:
- Esportare la storia (per i tipi di Egmont o chi per essa)
- Mantenere fedeltà e correttezza filologica
A mio parere mantenere una correttezza filologica con Barks o Gottfredson non è
così importante in sè, c'è semmai da chiedersi se il risultato finale sia più piacevole ed efficace in un senso o nell'altro.
L'esempio di Harry Potter è dunque molto più calzante per parlare di qualcos'altro: l'eterno dilemma, in adattatori e traduttori (e, per estensione, epigoni), tra riproporre la stessa esperienza del lettore nativo e riproporre la stessa opera letta dal lettore nativo con relativo
straniamento.
Harry Potter è un maghetto inglese: per il lettore inglese di Harry Potter fin quando non si decolla sulle scope è tutto molto, molto familiare: i bus rossi, il pudding...
Al lettore italiano si vuole restituire l'
inglesità dell'ambientazione (che diventa quindi esotica), completa di riferimenti culturali a cui il nostro può potenzialmente non essere in grado di accedere, oppure la
familiarità?
Il traduttore di Harry Potter ha scelto l'inglesità.
L'Amina Pandolfi traduttrice de La Storia Infinita (probabilmente il fantasy "per ragazzi" più amato prima della nascita di Harry Potter) ha scelto la familiarità, ed ecco che abbiamo Bastiano Baldassarre Bucci e Carlo Corrado Coriandoli.
Ognuno si faccia la sua opinione su quale dei due sia più riuscito, verace e immersivo, specie per un lettore imberbe.
P.s.: Alle estreme conseguenze, poi, il secondo approccio è stato portato dagli adattatori de La Tata, autori di una vera e propria riscrittura che ha trasformato un personaggio ebreo newyorkese in una ciociara con tutti i tic del caso.