EGO propone come una delle motivazioni la rivoluzione tecnologica degli ultimi anni ma devo dire che questa teoria non mi convince molto. Ci sono sicuramente molte storie vecchie in cui le difficoltà incontrate dai protagonisti sono dovute alla mancanza di tecnologia, ma ci sono molte e molte e molte altre buone storie in cui che ci sia o no tecnologia è irrilevante.
Una storia come quella disegnata da Perego dove zio Paperone aveva un computer che si innamorava di lui ed era poi geloso di Brigitta (se non ricordo male) forse era già un po' ridicola allora, certamente adesso non sarebbe più proponibile (non in maniera così infantile, almeno). Ma una storia come quella di Barks (oh, non mi ricordo mai i titoli), dove i nipotini sono tutti presi dalla fantascienza e Paperino decide di spaventarli con un apparecchio trasmetti-materia, non la vedo così improponibile. E sì che di storie di teletrasporti, noi pubblico del 2009, ne abbiamo ormai viste a iosa. Ma la storia è bella perchè ci sono cose sbaccananti come, ad esempio, il fatto che l'apparecchio venga spacciato da Paperino come "incubatrice per pulci": Solo il pensiero di una incubatrice per pulci è esilarante.
In ogni caso ogni elemento di quella storia è radicato negli anni Sessanta ed oggi nessuno riuscirebbe neppure a concepire una trama simile. D'altra parte, quella storia continua ad essere bellissima e godibilissima dopo quaranta e passa anni perché è deliziosa, geniale e solida come una roccia, con la preziosità aggiunta del "guarda com'erano le cose a quei tempi!". Quando l'ho letta per la prima volta quella storia mi ha fatto
cappottare dal ridere, e ogni volta che rivedo le facce terrorizzate dei nipotini quando Paperino emerge dall'"incubatrice" non trattengo le risate. E sono nato negli anni Ottanta. E' grave, dottore? No, è che Barks era un genio e certe espressioni del genio non vengono intaccate dal tempo e dai costumi.
Quello che intendevo dire nell'altra discussione è che una buona parte delle grandi storie di un tempo erano grandi perché parlavano di
possibilità. Quando i computer non erano ancora in ogni casa e la comunicazione come sta avvenendo qui tra di noi non era nemmeno un sogno lontano, era possibile ideare qualsiasi trama intorno ai cervelli elettronici (pensate all'
Uomo di Ula-Ula, per fare un esempio illustre ma forse non il più bello). Addirittura alcune storie
anticipavano un futuro poi realizzatosi, problemi compresi: vedi storie di Giorgio Pezzin. Oggi nessuno riesce a guardare così lontano, perché in fondo il "futuro" si realizza ogni anno, se non due o tre volte l'anno.
Inoltre, un tempo ci si poteva concedere il lusso, enorme e forse mai troppo apprezzato, di far passare per possibile l'impossibile: vedi sempre Pezzin, che in una sola storia, grazie a del sapone, permetteva a un'isola di slittare liberamente e al petrolio di sbiancarsi.
Oggi moltissime trame sono, oltre che povere già nello spunto, molto, troppo ancorate al "qui e ora". E non parlo solo delle storie VIP. E questo, almeno in parte, avviene perché poco è rimasto che sembri impossibile, e molto spesso ciò che è palesemente impossibile viene considerato una scemenza: c'è una brama sanguinaria di realismo, anche il fumetto dev'essere enciclopedico, tutto ciò che scriverai verrà confrontato con Wikipedia e, se non troverà riscontro, sarà usato contro di te. Pochi, dunque, hanno ancora tanta voglia di pensare "e se...?" basandosi su ciò che offre la realtà. Ecco perché, allora, è tanto più geniale l'idea di Casty, per esempio, di far costruire a Macchia Nera una macchina che "salva la sua posizione" e gli permette di ritentare il passato finché non gli va tutto bene: perché Casty ha preso qualcosa che esiste, l'ha esasperato in chiave pezziniana, ma così facendo l'ha reso qualcosa di "impossibilmente possibile", qualcosa che sai che non si può fare ma, in qualche modo, non ti pare neanche tanto impossibile. In una società che, bene o male, potrebbe quasi dire di aver visto tutto, si tratta di un risultato eccezionale.
Ma anche volendo eliminare il fattore "possibilità" e la sua componente tecnologica, rimane il fatto ineluttabile che molte sceneggiature oggi non hanno più la completezza, la solidità, la coerenza, i dialoghi e quel pizzico di originalità che si trovava qualche tempo fa. E questo, che a FV piaccia o no, non ha nulla a che fare con "una storia di Atomino ogni settimana". Ha a che fare con le differenze tra le prime e le ultime avventure di Indiana Pipps, ha a che fare con le differenze tra le storie di Qui Quo Qua scritte da Marconi e i blog e le galassie di Ambrosio, ha a che fare con le differenze tra i tridentauri di Cimino e le avventurette attuali di Paperone, il cui esito è prevedibile dalla decima di trenta tavole. Qui non è nostalgia, è il fatto che la produzione media italiana di certi periodi passati di
Topolino era ampiamente superiore a quella attuale. L'evoluzione si è interrotta intorno a metà anni Novanta, e da allora c'è stato solo il declino, e il riciclaggio. Scusatemi, ma dopo ormai quasi quindici anni dall'avvento del primo PK, qualcuno vorrebbe ancora farmi ridere con battute che puntualmente si rifanno a questi due modelli:
1) "Bella cravatta! Ti vesti al buio o hai perso una scommessa?"
2) "Poche ragazze da quelle parti, eh?"
E non solo su
Topolino, ma anche altrove. Ed è dura ricordare, o far scoprire ai neofiti, che l'inflazionatissima battuta numero 1 viene da una delle storie Disney più belle che si siano mai lette. Eppure siamo arenati lì, e per di più quelle battute vengono riutilizzate in ambiti lontanissimi da PK, che le calzava a perfezione.
Il declino grafico è, per quanto visibile e importante, secondario, e forse inevitabile: la costellazione di Artisti che si è incontrata a cavallo dei Settanta e degli Ottanta non può ripetersi ogni decennio, e neanche ogni due. Del resto, negli anni Sessanta su
Topolino ci fu un periodo di sceneggiature eccellenti rappresentate da disegni anche pessimi, e in generale spesso grotteschi rispetto a quanto abbiamo avuto in seguito e abbiamo tuttora (con eccezioni). Di certo l'eccellenza di certi periodi fu proprio dovuta al connubio tra grandi trame e disegnatori che sapevano inscenarle in modo semplicemente
perfetto.