Io ritengo -ma sono pronto a ricevere smentita- che il difetto di un certo filone Gagnoriano sia questo: il prendersi, nonostante tutto, sul serio.
Mi spiego, ma devo prenderla un po' alla larga, mi spiace: su Topolino vi sono, negli ultimi anni, tre autori dalla battuta facile: Marco Bosco, Fausto Vitaliano, Roberto Gagnor. Il primo dà il meglio di sé nelle storie brevi, a mio parere, perché le sue lunghe (Doubleduck) non sono molto comiche, e quindi perdono un po' quella sua "cifra".
Ma il confronto che voglio fare è tra gli ultimi due: entrambi hanno sviluppato stilemi faraciani, portando in maniera definitiva il sarcasmo su Topolino, rivedendo più o meno radicalmente (a seconda delle storie) la maniera di far ridere. Come la si pensi la si pensi, un passo avanti rispetto a certa fissità dell'era Duemila, anni in cui i vari Russo, Badino, Tulipano e persino lo stesso Panaro (con tutto il rispetto) finivano spesso per ripiegarsi e banalizzare vecchi stilemi comici.
Ma negli ultimi quattro-cinque anni si è imposta una differenza fondamentale: Vitaliano, a parte quelle che considero eccessi strategici tipo le storie sul calcio, ha forgiato uno stile efficace non solo nella forma e nei dialoghi, ma anche nei contenuti: storie
prettamente comiche, come le ultime con Dinamite dell'anno scorso (ancor più dei suoi primi esperimenti con il personaggio), o il quadriequivoco o la migliore delle scuse, che non ho remore nel definire all'altezza della grande tradizione anni Sessanta, e storie che sperimentano con Topolino sul solco del Tito nazionale, vedi Topolinia 20802, Pianeta T e la recente On the Road, mettendo l'ironia (qui più adatta del sarcasmo) al servizio di un nuovo ambiente e di nuove sfumature dei personaggi, che appunto nel nuovo linguaggio e nelle ripetute gag verbali trovano la maniera migliore di traghettare avanti e indietro fra la loro tradizione e le nuove esperienze.
Poi, certo, ci sono stati errori, ma ci sono tutti gli elementi per decollare, ormai, almeno secondo me. Il fatto di mantenersi su un ritmo produttivo non altissimo secondo me è una scelta saggia da parte dell'autore. E lo stesso Vitaliano, con il suo "caratteraccio", non si prende mai eccessivamente sul serio, sia nelle comiche sia nelle altre. Come ho già notato, la grande forza di On the Road è di non appesantire la "morale" con chissà quali pretese, ma facendola passare per quello che è, ovvero allegra e semipippesca
ars vivendi.
Gagnor, invece, ha compiuto una scelta differente: forse parzialmente influenzato dalla sua precedente occupazione che lo vedeva spesso impegnato in televisione, ha visto le nuove sdoganate arguzie verbali alla Bosco/Vitaliano come un'ottima opportunità di rivedere più a fondo e in un certo modo (che ora chiarirò) il linguaggio di Topolino. Nelle prime storie ha dato lustro ad una
vis comica invidiabile e che faceva concorrenza allo stesso Rex Faustus, per poi aprire anche il ventaglio dei contenuti: a differenza di Vitaliano, ha deciso di andare a
rivisitare i personaggi nel loro ambiente, non creando nuovi universi, ma smontando e arricchendo certe dinamiche interne. L'esempio in assoluto migliore (nonché uno dei suoi capolavori) è il Passaggio al Tor Korgat, che mette sul piatto -nientemeno- il rapporto Topolino-Gambadilegno. In Raceworld il discorso è un po' diverso, perché c'è un ambiente molto particolare, ma la logica straniante faraciana non può essere applicata, visto che tutto è sovrastato dal quasi ossessivo binomio costruzione/distruzione e personaggi, nonostante gli sforzi, si muovono come pedine, simulando innecessario travaglio in scelte esageratamente tirate per le lunghe. Raceworld è, mi verrebbe da dire, un filmone con una morale "all'americana" che vuol dire tutto e niente e spreca i personaggi. Ma non voglio esagerare. Semplicemente, come ho già detto altrove (non me ne voglia l'Autore, il mio positivo giudizio sulla sua opera non viene certo invertito dai suoi ultimi errori) si toglie a Topolino quella semplicità che lo differenzia da tante "purghe per adulti" (mi si passi il termine) e in tal modo si consegna la storia ad un destino incerto, che solo un'estrema perizia sceneggiatoria può colmare. E a volte si fallisce.
Infine (e qui volevo arrivare) Gagnor sperimenta una terza strada, sempre figlia di una cultura involontariamente televisiva. Quella di portare le logiche della farsa televisiva con i suoi attorucoli (sàppilo, sappìlo, etc.), le sue signorine sprezzanti, i suoi problemucci ingigantiti (vedi la trgedia di Duedipicche o come diavolo) nel contesto dei Paperi. Ed ecco Brigittik. Una parodia che, quasi eroicamente e senza rendersene conto, viene consumata dall'oggetto parodiato, quasi troppo demoniaco per soccombere alla messa alla berlina da parte di qualcuno che non sia Silvia Ziche. Ecco che l'atmosfera di inutilità cosmica delle scenette iniziali delle storie di Brigittik si riflette su tutto il resto, sugli intenti parodici, sulla consumata comicità gagnoriana, sui meravigliosi disegni di Vitale Mangiatordi.
Almeno, questa è la mia impressione: che anche nella parodia, nello straniamento, si finisca per cedere a quello che si va a rappresentare, a prendersi tutto sommato sul serio, soccombendo alle logiche di quello che si dissacra, proprio perché questo è talmente radicato nella propria quotidianità che è difficile prenderne davvero le distanze (se non sei Silvia Ziche, appunto).
Ma i margini per uscirne secondo me ci sono. E mi perline l'attuale inattività di Gagnor. Forse ha capito che queste, e certe storielle insipide come Topolinia Police Diner, non rappresentano la direzione giusta. E sta preparando un nuovo Tor Korgat, un nuovo frizzante Paperogate come quello dei bei tempi, o chissà. Speriamolo!
Dite la verità che vi mancavano i miei araldici sproloqui.