Mi sembra un'ottima categoria di analisi. Anzi altre volte ho cercato di esprimere il concetto del linguaggio (inteso appunto come messa in scena, oltre che come dialoghi) senza trovare l'espressione giusta.
Provare a fare queste cose da solo è difficile! Ti consiglio la lettura di questo:
Trattasi dell'indiscussa bibbia dell'analisi teorica del mezzo fumetto, e al contempo di un capolavoro di fumetto (non è un saggio in prosa, è un fumetto sul fumetto).
Ci credo!
Come ho provato a suggerire altrove (forse un po' off topic, magari quel messaggio andrebbe spostato nel topic generale di Guido Martina), consiglio di approfondire il Martina Anni Settanta. Complice anche la raggiunta maturità stilistica di tutti i disegnatori (vedi discorso di prima) le storie di Martina diventano davvero complete, con uno stile proprio e scattante, con ritmi -a mio parere- molto più definiti che in passato. Non voglio con questo dire che il Martina tardo è meglio del Martina "Fifties" (non scriverà più un Fantasma raffreddato o una Scuola modello), ma che sotto l'aspetto della messa in scena è assai più intrigante e coerente, e pertanto lo consiglio: Spada del Samurai, Campagna elettorale, le grandi storie con De Vita extra-Paperinik (il ciclo di Paperinik è un caso a parte, e molto interessante anche).
Grazie dei consigli. Di recente da quel periodo ho letto
Paperino e l'Iniquo Equo Canone, e devo ammettere che è stata sicuramente assai digeribile. La messa in scena era equilibrata, e a livello di inventiva linguistica l'autore era al top!
Quest'esempio mi ricorda anche un'altra caratteristica peculiare di Martina. In lui l'esigenza di piazzare giochi di parole e scambi di battute arguti era così preponderante da arrivare a
sottomettere la trama e la caratterizzazione dei personaggi! Ne
L'Iniquo Equo Canone Paperino e Paperoga sono ritratti come dei semi-analfabeti - decisamente fuori personaggio
anche per i canoni di Martina, diciamocelo - al solo esplicito scopo di fare un paio di gioco di parole (
equo ---> equino per Paperino e
approvato l'equo canone ----> provato il nuovo cannone per Paperoga). Una cosa del genere la dice lunga sull'approccio ai personaggi Disney di Martina. Non "attori in grado di recitare una grande vastità di ruoli", come è per tutti gli altri autori disneyani, ma proprio "marionette vuote da manovrare a suo piacere". Hanno ragione Boschi, Beccattini e compagnia quando sottolineano che il fumetto di Martina discende direttamente dalla commedia italiana, dalle maschere.
Stenderei un velo pietoso su come trattava invece Topolino. Quello lo sceneggiava per questioni puramente alimentari. Il suo Topolino diventa sempre più negli anni
davvero un personaggio noioso e prefettino che risolve gialli (brutti gialli, da quel poco che ho visto). Non lo amava Topolino secondo me, e forse non lo capiva.
Fate caso al fatto che la narrazione chendiana è spesso molto focalizzata; non su un personaggio fisso, ma su quello che di volta in volta occupa la vignetta (e raramente ci sono molti personaggi insieme, proprio per questo).
E se non è una caratteristica
barksiana questa!
Ora che, come dici, lo stesso PK ha sdoganato certi meccanismi, c'è più comunicazione con altre tecniche. La regia della tavola di Don Rosa (per me Sommo nella cura dei dettagli comici, dai classici topolini in su) non si ritrova in nessun autore italiano, ma credo che quella di Casty, nelle storie più importanti, sia molto valida. Ti consiglio da questo punto di vista (ma l'avrai forse già letta) Il Mondo di Tutor.
Certo, da anni gli autori italici sono i più aperti al mondo alla contaminazione con altri fumetti.
Ma non Casty, i cui lavori più recenti mi paiono invece da questo punto di vista quasi un'involuzione. Le sue storie si muovono in direzione degli aspetti meno interessanti del primo Scarpa, finanche rincarando la dose (quella messa in scena infantile e quella tendenza al didascalico di cui parlavo nel mio messaggio precedente). E mi dispiace dirlo, visto che non sei il primo che me lo consiglia: fra tutte quelle che ho letto, proprio
Il Mondo di Tutor è la sua peggiore peggiore peggiore storia, quella in cui il suo principale difetto (non parlare a tutti, rivolgersi ai soli bambini) diventa più marcato.
E Casty ci riporta al legame coi maestri americani. Si parla spesso - e male - del legame tra Casty e Gottfredson&Scarpa. Si tratta secondo me d'un legame assai assai superficiale.
Gottfredson e Scarpa ci hanno insegnato a guardarci intorno, a osservare il
nostro mondo e il
nostro tempo (i film, le mode, l'attualità politica, il clima internazionale) e a
trasporlo umoristicamente nelle storie di Mickey.
Da questo punto di vista, se c'è
un italiano uno che ha imparato la lezione di Gottfredson e del giovane Scarpa è Faraci. Gottfredson andava al cinema, vedeva il prigioniero di Zelda o i film Western, e se ne usciva con
Il sosia di re sorcio o
Il bandito pipistrello. Scarpa portava la fidanzata al cinema a vedere Hitchcock, e tornato a casa scriveva
L'Unghia di Kalì e
La collana Chirikawa. Faraci accendeva la televisione, vedeva serie televisive poliziesche, oppure andava al cinema a vedere De Niro e Pacino in un film di Michael Mann, e poi davanti al pc se ne usciva con
Dalla Parte Sbagliata e
Anderville.
Casty trae ispirazione soprattuto dal passato (spesso direttamente da Scarpa e Walsh, senza neanche uscire dal medium).
È per questo che mi viene da sorridere quando leggo che "Casty ci riporta al Gambadilegno cattivo di Gottfredson, che tenta di uccidere il topo e non ci fa comunella". Tecnicamente è vero. Ma siete sicuri che oggi Gottfredson si servirebbe così di Pietro? Non lo so, il dubbio mi viene...
C'è forse una cateogoria analitica che potremmo mutuare dalla letteratura italiana, ed è quella sorta di ambiguità che caratterizza molta letteratura italiana. Uno straniero spesso trova la letteratura italiana piuttosto peregrina, al di là della bellezza stilistica, perché constata che molte altre (dall'inglese alla russa) esprimono i concetti in maniera molto più chiara. È facile riassumere un libro inglese, di solito, ed enuclearne le tematiche, salvo poi addentrarsi nei necessari dettagli e perle di stile. Ma c'è una gerarchia, come c'è una gerarchia nella regia della tavola di Don Rosa.
Nella letteratura italiana invece - e per me questo è un grande pregio, a suo modo - spesso la comunicazione è obliqua. Il pregio di libri come I promessi sposi non è nel presentare la storia che presenta. È... in tutto il resto. In un certo senso la letteratura italiana si sente così vecchia da aver già esperito il senso letterale duemila anni fa (quand'era latina...).
Vero, ma da qui a proiettare la cosa sul fumetto Disney io ci andrei piano. Comunque è una chiave di lettura verosimile.