La vera storia di novecento è una storia (perdonatemi la ripetizione) che ho letto ed accolto con molto entusiasmo quando uscì, anzi, per essere più preciso quando usci l'albo speciale che la riproponeva.
Come detto, all'epoca mi piacque parecchio, al punto da indurmi a ricercare e vedere il film di Tornatore: ad essere sincero, non sono riuscito a reggere le quasi 3 ore in cui si dilungava a raccontare una storia che, come appresi successivamente, il testo di Baricco conteneva in poco più di 50 pagine.
Testo che, sempre appresi in seguito, in realtà è un monologo teatrale, adattato sia informa cinematografica che... fumettistica.
Questa premessa mi giova per dire che, fra le due versioni che ho seguito (il libro non l'ho letto), certamente quella a fumetti mi è sembrata più idonea a rappresentare l'idea originale dell'autore.
E qui passiamo alla storia in sè: immaginare un bambino, anzi un neonato, abbandonato su di un piroscafo, cresciuto dall'equipaggio, con un'innata capacità musicale ma, al contempo, poco incline alle socialità, incapace di vivere appieno la propria vita e di abbandonare i rassicuranti confini del mondo galleggiante dove aveva sempre vissuto... insomma, forse non sarà "poetica", ma la giudico comunque una storia originale, un'idea azzeccata.
Quanto alla trasposizione a fumetti, senza dubbio i bellissimi disegni di Cavazzano aiutano tanto ed indirizzano benevolmente il lettore, dovrei rileggerla per capire meglio che sensazioni mi possa trasmettere a distanza di anni, eppure parlarne in questo topic, con il massimo rispetto per le opinioni altrui, mi sembra alquanto esagerato: l'adattamento dei personaggi disney è ottimo, lo stralunato Pippo recita benissimo nel ruolo del protagonista, Topolino in quello della voce narrante e Macchianera nell'avversario (musicalmente) del protagonista.
Chiaramente il finale diverge dall'originale, e non vi sono neppure accenni all'infanzia del protagonista, eppure mi sembra una storia di tutto rispetto, a mio avviso migliore della trasposizione cinematografica, poi la si può anche non definire "capolavoro" - ci sta - ma da qui a darle dell'orrenda ne passa di acqua, anche più di quella che i protagonisti si trovano a solcare sul battello.