Ogni scrittore di fumetti ha una sua
unità narrativa. Intendo con questa espressione (mia, non so se esiste una denominazione standard nel gergo tecnico) l'insieme minimo di vignette/parti della tavola su cui lo scrittore fonda la sua messa in scena.
Ovviamente l'unità minima
del linguaggio resta la singola vignetta (eventuali sperimentazioni avanguardistiche a parte). Ma i fumettisti non "pensano" i vari passaggi della narrazione
vignetta per vignetta. Una storia può essere concepita su unità narrative di quattro vignette, o di tavole intere, etc.
Spessissimo, specie in correnti mainstream, l'unità narrativa è dettata dal formato.
Le strip per esempio impongono inevitabilmente al narratore di assumere l'intera striscia come unità. La strip è un'unica scena, a meno di vignette finali che impongano un passaggio scene-to-scene per motivi umoristici o per sorprendere il lettore.
Nel fumetto francese tradizionale (specie umoristico) ci sono tavole da quattro strisce. Ma l'unità narrativa è la
mezza tavola, cioè due strisce per un totale di solito di sei vignette. Prendete un qualsivoglia albo di Asterix: noterete che ogni mezza pagina è un'isola narrativa a sé stante; poi, nella terza striscia, Goscinny cambia se non totalmente di scena, almeno ambiente o angolatura dell'inquadatura (o più semplicemente in questa nuova mezza pagina ci impasta un'altra gag). Questo è dovuto a un motivo puramente tecnico: i disegnatori della scuola franco-belga disegnavano le mezze tavole
su fogli separati (per non ritrovarsi a dover salire su uno scaletta per dover disegnare su un foglio di un metro e mezzo...
).
Nel fumetto d'autore più moderno l'unità di misura è la tavola intera, a volte le due tavole.
E nel fumetto Disney?
Barks ha come unità talvolta la
tavola intera, ma in realtà predilige le
quattro vignette, cioè metà della sua pagina.
Rosa invece non c'è dubbio che concepisca la narrazione in termini di tavole intere. Ogni sua tavola è un mondo a parte. La tavola dopo, cambia pesantemente d'inquadratura, e anche di stile di messa in scena.
Il fumetto Disney italiano è da questo punto di vista estremamente elementare. L'unità mi sembra essere sostanzialmente
la vignetta singola, segno di un livello narrativo poco strutturato. In una stessa tavola ci sono continui cambiamenti d'inquadratura, che non permettono al lettore di leggere la tavola come un unicum autonomo con una sua dinamica interna. Come se tutto quello che contasse fosse il filare della storia. Non c'è niente di male in questo, per essere chiari. È una questione di scelte consapevoli o paradigmi stilistici. Ovviamente non parlo di casi limite, tipo PK o Scarpa che fa le storie a strisce.
Spessissimo Faraci esce dal coro: si vede che nelle sue storia la
tavola intera è pensata come un tutt'uno (ed è il minimo che si richieda a uno che si dice influenzato da gente come Moore e Miller). Anche Artibani sa dare soddisfazione da questo punto di vista, ma meno spesso. Ziche mi pare tenda a imporre un che di coerente all'intera tavola, anche quando fa da matita a sceneggiature altrui (o forse sono io che ho letto Ziche solo sceneggiata da sé stessa, Artibani o Faraci?). E poi ovviamente c'è Faccini, che per necessità umoristiche spesso pensa in termini di tavole intere (esempio massimo, Paperoga nella muta
tutti al mare).
E Casty? Da quel poco che ho letto, di solito lui aderisce allo stile piatto
scarpo-ciminiano (unità narrativa = una sola vignetta). Ma non sempre. Nelle storie con Cavazzano spesso sembra dare maggiore attenzione all'architettura della tavola intera (o è Cavazzano che fa quest'effetto?). Nell'inizio del
dottor Tick-Tock lui e Faccini si divertono a scrivere a strisce.
E poi c'è
Topolino e gli Ombronauti (cacchio, ce ne ho messo per arrivare in topic
). Questa storia è piuttosto anomala. La sua unità narrativa è per lo più data da...
due vignette. La striscetta singola insomma. Gran parte delle tavole sono quindi divise in tre unità indipendenti. Ogni vignetta è coerente con quella a fianco (stessa inquadratura a meno di zoom, o stesso personaggio inquadrato). Andando
a capo qualcosa cambia. È come se l'autore avesse concepito la messa in scena due vignette per due vignette. Questo dà alla storia una coerenza narrativa interessante e un ritmo piacevole. E niente, questo volevo dire. Mi sembra un fatto simpatico, che mi piacerebbe vedere più spesso nelle sue storie.
Per il resto, a una (seconda o terza?) rilettura, gli
Ombronauti mi si conferma una buona storia. La storia tiene bene. Le punzecchiate al mondo contemporaneo e le morali buoniste sono rispettivamente meno banali e meno buoniste del solito. E pure Atomino mi sta simpatico in questa storia. La divertente scazzotta finale degna di Scarpa riscatta una seconda parte che rischiava di essere rovinata dai tre spiegoni consecutivi (Gambadilegno-tizio che concepisce la campagna di misterbuono-Enigm). Non che non servissero quegli spiegoni, ma magari mettere più azione tra l'uno e l'altro avrebbe giovato.