La cognizione del dolore - Carlo Emilio Gadda
Risulta alquanto complicato poter riassumere il "groviglio" (termine che non adopero a caso) strutturale e linguistico di questo romanzo, capace di colpire, impressionare e scaturire ammirazione in ogni lettore, positiva o negativa che sia: di certo Gadda, indipendentemente dal fatto che uno sia d'accordo o meno con lui, sente la necessità di testimoniare quello che è il caos, ma soprattutto il dolore dell'esistenza.
Dal punto di vista dell'impianto, la Cognizione si snoda attraverso due parti, una incentrata sulla descrizione dell'immaginario paese sudamericano del Maradagál, l'altra, invece, più attenta ad analizzare il presunto dolore del protagonista, Don Gonzalo Pirobutirro, alter-ego sfumato di Gadda stesso, sia fisicamente, sia psicologicamente.
L'aspetto più importante di questo romanzo è certamente lo stile, che si alterna tra registri di alto e basso livello, tra termini gergali e latinismi, tra dialetti e neologismi, una cifra caratteristica di Gadda con cui ogni lettore deve fare i conti: per potersi divertire e cogliere anche tutte le citazioni e i rimandi che lo stesso autore propone, è necessaria molta attenzione e pazienza, e queste saranno sicuramente premiate per i bellissimi scorci di vario genere che vengono tratteggiati con una maestria e una padronanza del linguaggio che non hanno assolutamente eguali in tutta la storia della letteratura (Gadda è secondo solo a Dante, dal mio punto di vista, anche se il plurilinguismo adoperato in poesia è diverso da quello della prosa): le pagine in cui si narra del difficile rapporto tra Don Gonzalo e la madre sono veramente belle, una incapacità di saper dare e saper dimostrare per colpa del dolore della vita che mi ha colpito non poco. Interessantissimo anche il finale, nonostante si avverta il senso di "non finito" che avrebbe potuto comunque aprire delle curiose prospettive, ma chiaramente all'autore non interessava raccontare una storia quanto restituire l'immagine del proprio dolore attraverso un mondo che viene attentamente delineato nei suoi costumi e nella sua morale, il che è molto pregevole.
Vedrò se cominciare al più presto l'altro capolavoro di Gadda o se puntare su un altro autore: ne sono estremamente affascinato, tuttavia metabolizzarlo ha richiesto molto impegno, opportunamente ripagato tra umorismo e malinconia, e il Pasticciaccio è ben noto per essere un'espressione più matura del "barocco gaddiano", nonostante gli anni di composizione si aggirino intorno a quelli della Cognizione. Vedrò in questi giorni, in ogni caso lo consiglio perché non ha nulla da invidiare ad autori novecenteschi delle levatura di Svevo e Pirandello (poiché Gadda mi appare, seppur preso a maestro da alcune generazioni di scrittori, piuttosto incompreso e sottovalutato, tanto che sul web stesso si trova ancora ben poco sul suo conto, mentre sui due sopracitati è ben facile trovare informazioni).