Leggo sempre senza scrivere nulla, ma stavolta non posso non lasciare un commento... perché se c'è una storia che mi ha impressionato — e molto positivamente — quella è stata Il tesoro alla ricerca di Zio Paperone.
Ho l'abitudine di leggere gli autori di una storia subito dopo aver letto il titolo, ma questa volta sono incorso in una strana situazione: un titolo così particolare si adatta benissimo alla vena comica e a tratti anticonvenzionale di Gagnor, però non mi è sfuggito l'impianto della pagina iniziale che, con tanto di vignetta introduttiva, inizio quasi in media res e popolazione sconosciuta con annesso linguaggio astruso, mi ha fatto istintivamente pensare a Cimino. Il che è stato davvero... "suggestivo", poiché già sin dalla prima pagina ho iniziato la storia con un sorriso accennato (cosa che non succede affatto così spesso, solitamente inizio a godere pienamente una storia durante il suo corso), immaginando una fusione — e non ero poi così lontano dalla realtà — fra lo stile fantasioso ed esotico, particolare e retrò di Cimino e quello scherzoso e comico, fresco e diretto di Gagnor. Stili che mi piacciono entrambi, ma diversissimi fra loro.
E le citazioni a Cimino sono praticamente innumerevoli; basti sapere che "Cimino" emerge quasi ad ogni tavola, una volta con una popolazione inconsueta, una volta con una sua frase tipica, una volta ancora con gli usi e costumi stravaganti; persino il mezzo speciale non può mancare all'appello. Ma è grandioso come nelle stesse tavole in cui "Cimino" si fa sentire, le sottilezze di Gagnor facciano la propria comparsa: si va così dai nomi che fanno scattare le risate a primo acchito (Figuratisesodovestan) alle gag improvvise, passando per scene altrettanto comiche (il re che gioca ai videogiochi con i nipotini) in cui il suo tratto si fa sentire. Ma sono sensazionali le battute tramite le quali si allude finissimamente ai cliché ciminiani con grande verve comica ("Dobbiamo ritrovare il turbovolatile!", "Turboche?", "Uno strambo veicolo col quale siamo arrivati qui!").
Ma la parte più originale è senza dubbio... il soggetto della storia. Un "tesoro" che cerca Zio Paperone, senza apparente motivo né troppe domande da parte di Paperino: e all'inizio ne sono rimasto davvero spiazzato, perché non capivo cosa stesse succedendo... o meglio, perché stesse succedendo ciò che stava succedendo. Quando poi i nipotini cominciano ad esprimere i propri dubbi sulla statua la storia sembra indirizzarsi verso la "normalità", ma ancora una volta sono stato sorpreso dal fatto che non si chiedano come mai una statua parli, ma piuttosto, semplicemente, come mai un tesoro cerchi lo zione quando di solito è il contrario ciò che avviene.
Il finale, poi, non è deludente. È probabilmente l'unico modo per concludere una storia che, se cominciata così, non poteva che... finire così: e se la storia non fosse stata orchestrata in questo modo, non necessitando quindi di tale conclusione, non ne starei nemmeno parlando. È ovvio che si potrebbe pensare che si sarebbe potuto scegliere un altro personaggio da mettere dentro la statua, posto che già si comprendeva come si trattasse di qualcuno che già conoscevamo... ma rileggendo bene la storia, qualsiasi alto personaggio avrebbe stonato perché non avrebbe avuto né i motivi né il carattere per stare lì, a fare ciò che faceva e a svolgere quel ruolo. Da ciò il finale discende naturalmente, perché arrivati al punto in cui si scopre che la statua era Brigitta travestita non si può non lasciare spazio ad un finale commovente — o comunque di questo genere — che mostri il lato affettivo dello zione nei confronti della papera che da tanto cerca di conquistarlo.
Insomma, una storia che senza dubbio riesce a risaltare fra le altre pur non essendo una storia a puntate, né una storia pubblicizzata a priori, né una straniera né un esperimento di metafumetto. È "solo" — ma è chiaramente virgolettato — una storia che mi ha fatto ridere... ma non nel senso letterale del termine: perché a farmi ridere sono state le grandiose battute di Gagnor, ma chiaramente la storia non è costruita solo su quelle. A farmi... "sorridere", e dentro, è stato il continuo paragone con il Maestro e mi sentivo una strana allegria ogni volta che ritrovavo una sua citazione all'interno della storia, o anche solo leggendo i testi volutamente complessi.
Forse perché Cimino mi è rimasto nel cuore... o forse, magari anche più probabilmente... perché quando si fondono, in un modo o nell'altro, due autori di questo calibro, chiaramente il risultato non può che essere un prodotto eccellente!