Anche a me l’ultimo capitolo del
Don Pipotte di
Fausto Vitaliano e
Claudio Sciarrone ha piuttosto deluso, devo ammetterlo. E mi spiace, perché invece le prime due puntate le ho trovate (come detto nelle scorse settimane) molto buone, con un primo episodio che getta ottimamente le basi tematiche della storia e un secondo più di passaggio ma sempre efficace.
Nella conclusione, invece, ho visto la trama prendere una piega poco coerente con quanto visto sinora, e a tratti frenetica, troppo veloce nell’esposizione.
Perché se è pur vero che in una parodia di
Don Chisciotte - e in questa versione in particolare - non è certo lo scontro con il “cattivo finale” il cuore della vicenda, è anche vero che in questa storia è presente e che qui viene liquidato in quattro e quattr’otto, senza enfasi e quasi liberandosene il prima possibile. Non solo, viene peraltro condito con un colpo di scena come quello
, che al di là della scontatezza della trovata in sé ho trovato anche fuori contesto nel tenore dell’avventura.
È molto buona l’idea del mischiare le carte tra realtà e fantasia, ribaltando la situazione in modo tale da rendere reali le situazioni che abbiamo precedentemente visto sotto il filtro delle visioni di Pippo, ma la modalità con la quale lo sceneggiatore ha portato a termine tale scelta non mi ha convinto.
I disegni di Sciarrone proseguono invece sulla falsariga di quanto visto nei primi due terzi della storia: dinamici, cinetici e con buone soluzioni nella gestione delle tavole. L’unico appunto è nell’aspetto dato a Zenobia, troppo distante da quello canonico al punto da far pensare che questa ragazza sia un’omonima che ricorda solo vagamente il personaggio scarpiano.
La storia migliore del numero è invece quella che chiude l’albo:
Zio Paperone e il marchio aureo è infatti, pur nella sua semplicità, un racconto solido e articolato, dotato di una sceneggiatura che non lascia nulla al caso, di impostazione classica ma in grado di avere una voce nuova e importante.
Alessandro Sisti scrive una storia di
Topolino “a regola d’arte”, riuscendo a divertire, intrattenere e fare anche una leggera satira su una delle caratteristiche della società.
Francesco Guerrini è in ottima forma, in un crescendo che prosegue da qualche anno a questa parte ormai rispetto agli anni ‘90 dove non lo apprezzavo troppo, e qui si sbazzarrisce non solo nel dare dinamismo e slancio a Paperone, Paperino e Paperina, ma anche negli animali antropomorfi che popolano la città, davvero gradevoli.
Un’altra storia che mi ha conquistato è
Pippo, Manetta e l’indagine giusta sulla pista sbagliata: divertentissima!
Pietro Zemelo si muove sulla scia faraciana (ricorderei a tal proposito Il genio nell’ombra) nel mettere in primo piano i due comprimari “tonti”, e trova la giusta “frequenza” per trattarli con trovate e battute che funzionano molto bene, generando risate a più riprese. Certo, si gioca in un paio di occasioni con il “dar di gomito” al lettore, ma in maniera nient’affatto fastidiosa e funzionale al tipo di umorismo dichiaratamente presente nella storiella. Buona, davvero buona ed efficace.
E mentre la breve con Paperino e Paperoga l’ho trovata inconcludente (letteralmente, non sono riuscito a capire dove volesse andare a parare), ma storia di
Carlo Panaro con Paperino protagonista si è rivelata una lettura piacevole grazie ad una sceneggiatura pulita, che comunque non rifugge da alcuni cliché ormai tipici della scrittura di Panaro (vale a dire lo sviluppo finale della vicenda), ma che perlomeno viene raccontata in maniera interessante.