Storia molto interessante quella che ci propone Zemelo questa settimana, Topolino e la Biblioteca Infinita rappresenta un'ardito esperimento che, nei suoi vari difetti, merita comunque di essere analizzato a parte.
Anzitutto, va a sfavore della storia l'incipit: quella vignetta iniziale chiarifica troppe cose, invece si sarebbe potuta mantenere un'atmosfera misteriosa e adulta fin dall'inizio. Sembra quasi necessaria per abbassare il tono dell'intera vicenda, e quindi chiedo all'autore, quando potrà avere modo di dialogare con noi, la ragione per cui la storia abbia assunto un tono meno "crudo" e più "leggero". Per tale ragione, uno degli aspetti più affascinanti della storia, ossia la relazione tra Jorge e Armandez, viene annullata quasi del tutto da quella fotografia in cui li si mostra nelle vesti di criminali. Un'occasione sprecata già dall'inizio.
Dopodiché, il tutto si fa abbastanza fantascientifico, ma in sto caso lo apprezzo perché si mescola con la ricerca dei testi o la risoluzione di alcuni enigmi che da tempo mancava sul Topo; se però questo è vero, dall'altra manca la giusta regia: troppa velocità tra una vignetta e l'altra. Secondo me meritava almeno due tempi e una narrazione più lenta, invece il risultato, troppo condensato, ha generato alcune perplessità.
Analizzando la figura di Armandez, inoltre, si scorge la mancata possibilità di un cattivo veramente interessante e spietato come si deve: da una parte perché la tensione della storia risulta annullata (la vignetta iniziale sopracitata), dall'altra perché Armandez non ha possibilità di esibire quel carisma che ne avrebbe favorito un futuro ritorno. I suoi intenti sono decisamente più profondi rispetto al generico malvagio panariano che si spiega da sé appena si giunge al culmine, peccato che trovino poco tempo per esprimersi al suo culmine.
L'altro problema di fondo è la morale: Essere la nostra migliore versione!, sentenzia Topolino ad avventura conclusa. Ma è veramente così? Posto che esistano infinite possibilità di essere, come possiamo veramente sapere di essere la nostra migliore versione? Sul momento possiamo esserlo o pensare di esserlo, ma non potremmo portare avanti questa convinzione per tutta la vita. Di conseguenza, a mio avviso - ma questo è personalmente legato al mio modo di concepire l'esistenza - questa morale è alquanto tirata e non veritiera: è come se ai lettori più giovani si desse una "formuletta" che non produrrà alcunché di buono. E questo perché si ha come l'impressione che ad un certo punto tutta la tensione che si sarebbe potuta inscenare debba smorzarsi per contenersi ad un target di riferimento più piccolo. Per me è stata una scelta deleteria ma, come ho detto prima, sarei interessato a conoscere la genesi di questa storia, quindi spero che Zemelo possa trovare modo di illuminarci col suo punto di vista (ricordo ancora Topolino e l'albero di Holly ad esempio del suo talento).
Concludo coi disegni, che secondo me hanno contribuito ulteriormente ad allentare il tono più adulto che questa storia avrebbe meritato senza sé e senza ma: le espressione di Usai, oltre che essere un po' statiche, sono spesso tirate e caricaturiali. Avrei puntato su Pastrovicchio oppure su Mangiatordi, su autori più attenti alle ombreggiature, insomma.
Nonostante tutte queste critiche, questa storia mi ha lasciato qualcosa: la prospettiva per quel miglioramento che attendevo da diversi anni. Peccato poi che ci siano state troppe limitanti, per questo vorrei capire se fossero state imposte o se derivassero da un'impostazione iniziale della storia.