Confucio, importante faro per i molti "viandanti smarriti" che animano il nostro globo, s’impose con forza ai suoi tempi riguardo il concetto di fortuna. In quanto fattore imprevisto, qualsiasi forma allusiva a un concetto benevolo era sempre e soltanto voluta da un’entità ben estranea a questa Terra, eppure così influente, in ogni caso troppo straordinaria (nel senso letterale del termine) per essere paragonata a una condotta di routine. Il personaggio di Gastone ricopre in tal senso la miglior personificazione nel campo dei fumetti capace di smontare quest’ideologia, risultando del tutto incline allo stereotipo di fannullone nell'odierno rapporto
prosperità fortunosa = noia. Non è stato con quest’impeto però che Barks s’è apprestato al suo inserimento nell'ecosistema papero, già 70 anni fa: ciò che più doveva animarlo rispecchiava più un sentimento di crudeltà e spacconeria, oggi diremmo martiniana per puro spirito nazionalista. Ma il buonismo intellettuale che l’editoria italiana sta vivendo ormai da parecchi decenni ha finito col cancellargli questa connotazione sì atipica per un character disneyano, ma terribilmente affascinante. E chi ne ha risentito di più è stato proprio il papero riccioluto, protagonista assoluto del Topo di questa settimana.
Settant'anni sono veramente tanti, soprattutto se trascorsi in un’atmosfera plumbea come nel nostro caso. È in circostanze come le attuali che i personaggi dimenticati necessitano di una scossa per ritornare alla vita, pulsando nei cuori degli appassionati. La storia di
Roberto Gagnor assume dunque un importante ruolo sotto numerosi aspetti. Primo, perché s’impone l’anticonformista obiettivo di ridonare allo strafortunato un po’ di quella sua versatilità affidatagli dai più famosi Martina e Scarpa perlopiù in chiave parodica, un sentimento quindi estremamente elaborato, frutto vivido di un accorta elaborazione cognitiva. Secondo, per identificare ancor meglio il suo rapporto con il nucleo famigliare che lo stesso zio Carl aveva soltanto accennato e terzo, forse il più importante, riabilitare il concetto confuciano di fortuna. Con sincerità e sconforto bisogna ammettere come proprio nella mancata realizzazione di quest’ultimo intento risieda l’anello debole dell’intera vicenda. Se la prima parte incarna una possibile antitesi, verosimilmente confutabile nel finale, la seconda sprofonda infatti in un’eccessiva dose di sopracitato buonismo interiore che fa male, perché troppo esposto, troppo palese, (paradossalmente) troppo poco edificante. Malgrado questo,
Un giorno da Gastone rimane un’operetta tranquilla, trasognata come molte delle celebrative viste fino ad oggi sul libretto, ma che sa affidare al festeggiato di turno una luce nuova, diversa dal solito, molto più universale di quanto non fosse prima. E ciò emerge soprattutto dall’immedesimazione ultima, quella che tutti noi ci aspettavamo da tempo ma che ancora esitava a formularsi (volontà della Redazione o altro?). Salviamo dunque questo utopico ideale, la buona sorte sconfitta non si ammira tutti i giorni, forse perché essenzialmente inesistente, ma ciò non è stato comunicato al meglio. Ecco perché leggerne la conclusione fa così male.
Già al termine della storia d’apertura l’intero numero rivela le sue reali fattezze: un albo sufficiente, sicuramente sopra l’attuale media ma che poteva e doveva dire di più a livello emozionale, vuoi per l’occasione particolare vuoi per il periodo dell’anno in cui viviamo. Rattrista pensare, infatti, all'assenza di racconti o redazionali in tema con l’inizio dell’anno nuovo, da sempre punto cardine del magazine forte della multi etnicità che lo accompagna. Non sorprende invece imbattersi in una
DuckTales Story insipida, ancora una volta priva di brio e poco incisiva nei panni di "manifesto pubblicitario" della serie animata. Con l’avvento di Della poi il fratello ha subito pesanti scivoloni a livello di prestanza, ma anche in quest’ottica la situazione potrebbe risultare più che normale nei confronti di un potenziale consumatore, il solito bambino settenne schiavo del suo tempo. E in fondo l’obiettivo della casa editrice è proprio questo: investire sulla massa, metodo che può avere un senso se rispecchiato nella riempitiva
Zio Paperone e i Bassotti recalcitranti per la quale ammirare un ragazzino che, incuriosito, ricerchi l’astruso termine in prima pagina nella sua "scatola magica" è diventata pura utopia sociale.
E i Topi? Si difendono, grazie soprattutto a
Vito Stabile che conferma la sua poliedricità nel trattare i personaggi Disney, stavolta autore di un gradevolissimo e marvelliano conflitto supereroico con protagonista
Super Pippo, ottimizzato complice il sapiente utilizzo di un bel villain predominante e un rivitalizzato favoreggiatore. Storia che non avrebbe avuto lo stesso sapore se interpretata dai paperi ma che presenta al tempo stesso alcune caratteristiche in comune fra i due microcosmi, a noi evidenti fin dalla preistoria, ma qui evidenziati con ilarità fuori dal normale. La nota lieta di un numero, come detto, nella media ideale.
Portatelo via.
Quotone!