Ho seguito su Rai News 24 e su France 24 la cerimonia in onore di Mandela a Johannesburg/Soweto in uno stadio strapieno di gente festosa di tutti i colori e con capi di stato, personalità politiche, sportive e dello spettacolo provenienti da 91 paesi. Proprio in quello stadio Madiba aveva fatto la sua ultima apparizione pubblica, prima della finale dei Mondiali di Calcio del 2010.
Quando ho visto che pioveva ho pensato 'peccato' ma subito dopo hanno detto che la pioggia in un funerale è ben accetta in Africa perché aiuta le persone morte ad essere 'assorbite' meglio dalla madre terra che li riprende nel loro viaggio nell'aldilà.
Tra i vari interventi, quello di Obama è stato il più applaudito, non solo per la capacità oratoria di Barak o per il personaggio in se stesso, ma anche perché è stato quello del primo presidente americano nero verso il primo presidente sudafricano nero, in due paesi in cui le Apartheid hanno dominato la vita civile e politica per tanti (troppi) anni.
"Senza Mandela Michelle ed io non saremmo dove siamo" ha detto Obama il quale, alla fine del suo discorso, ha citato le parole della poesia 'Invictus' che diedero forza al prigioniero 46664 nella sua piccola cella a Robben Island:
http://it.notizie.yahoo.com/poesia-mandela-invictus-testo-italiano-inglese-203510571.htmlIl presidente americano è stato protagonista anche per aver stretto la mano e parlato brevemente con Raoul Castro, fratello di Fidel, in una sorta di inizio di disgelo con Cuba che tutti aspettano da mezzo secolo: ultimo miracolo di Madiba?
Al contrario, l'attuale presidente sudafricano Zuma è stato spesso fischiato dalla folla, anche perché fresco di scandali politico-finanziari, tipo 20 milioni di dollari presi da fondi pubblici per ristrutturare una sua mega villa in campagna. Sicuramente i successori di Mandela non sono stati e non sono alla sua altezza (obbiettivo difficile se non impossibile per chiunque ma, in questo caso, ben lontano anche solo dall'avvicinarsi).
I vecchi compagni dell'African National Congress come anche il vescovo Desmond Tutu (che ha redarguito la folla troppo rumorosa come un vecchio prof: disciplina ci vuole, siamo di fronte al mondo intero!) lo hanno ricordato nella sua abilità non solo politica ma soprattutto umana, che quando coincidono producono miracoli: incanalare la rabbia e il dolore non nella vendetta o nella violenza, ma nel perdono, nella comprensione e soprattutto nella conoscenza del nemico-avversario così da comprenderlo meglio per poterlo avvicinare a sé nel progetto di ricostruzione, di giustizia e di pace. Mandela in carcere aveva imparato l'afrikaans, la lingua dei bianchi boeri che avevano ideato l'Apartheid, e letto libri sulla loro cultura e le loro tradizioni, apprezzandole.
In sostanza: se vuoi sconfiggere il tuo nemico, devi conoscerlo. Lui ha fatto di più: lo ha battuto democraticamente e dopo lo ha accettato come parte integrante del paese, riconoscendone comunque, aldilà del segregazionismo, le qualità che hanno reso il Sud Africa il paese più avanzato e ricco del Continente. E ha fatto si che anche i cittadini neri accettassero questa situazione, certo non facile per chi ha vissuto i terribili anni dell'Apartheid: sicuramente meno difficile per i giovani di ogni colore che riempivano lo stadio e tutta la città.
Oggi, in Africa, il paese-arcobaleno a quel tradizionale predominio economico unisce anche quello democratico, più recente ma già all'altezza degli altri paesi occidentali, se non più avanzato. Almeno sulla carta. Nonostante tutto.