Recensione I Grandi Classici Disney 59 Archeologia del fumetto Disney: così potremmo definire l’interessante sezione Superstar dei
Grandi Classici 59, un florilegio di piccole perle del passato più remoto delle storie di Topi e Paperi. Raramente nel mensile, quantomeno negli ultimi anni, compare il nome di
Floyd Gottfredson, ma è sempre una festa poter rileggere su queste pagine le sue opere al servizio del Mickey Mouse più autentico. Stavolta, complice il filo conduttore della sezione monografica dedicata (più o meno interamente) alla nobile professione dei
vigili del fuoco, abbiamo l’occasione di rivedere una delle primissime avventure di Topolino in cui il nostro è ancora
l’adorabile ragazzetto della sconfinata campagna statunitense, la periferia esistenziale del Midwest composta di fattorie e piccoli insediamenti rurali dalla quale proveniva lo stesso Walt Disney.
È evidente – e del resto risiede proprio in questo l’eterno fascino di storie come
Topolino arciere: i principali personaggi disneyani dei primissimi anni Trenta sono ancora in rodaggio e il loro mondo non è certo ben definito o “canonico”.
Piccole vicissitudini di vita quotidiana un po’ naif, in cui il piccolo protagonista si ingegna per far fidanzare ufficialmente gli amici di sempre, Orazio e Clarabella. Ed è proprio un incendio in casa di quest’ultima, tra varie gag che riecheggiano corti di quel periodo come
The Fire Fighters o
Mickey’s Fire Brigade, a portare alla lieta unione tra i due.
La lettura di una storia così antica rispetto agli standard che lo stesso Gottfredson avrebbe fissato solo pochi anni dopo ha
il giusto sapore rétro che dovrebbe far capolino un po’ più spesso sulle pagine dei Grandi Classici, magari rispolverando versioni come quella qui riproposta di
Topolino arciere: strisce rimontate provenienti dal diciannovesimo albo di
Nel regno di Topolino del 1936, con la
caratteristica colorazione rosata di quel periodico, che non si vedevano in ristampa dal prestigioso
Topolino 70 anni di carta del 2002.
Le origini del fidanzamento combinato di Orazio e Clarabella Una simile aria di piacevole vetustà si respira anche nelle altre storie riproposte in coda all’albo: la
sublime arte comica del Carl Barks degli anni Quaranta, periodo in cui l’Uomo dei Paperi non sbagliava un colpo né nelle fulminanti
ten-pager né nelle avventure di più ampio respiro per
Four Color, pervade le due disavventure paperiniane in questione.
Paperino e l’incendiario è un capolavoro puro concentrato in sole tredici pagine: piromania, un mistero da risolvere, un protagonista pazzo e scalmanato da domare. Fondamentalmente
un piccolo manuale di sceneggiatura che, ahinoi, subì una censura già all’epoca della sua prima pubblicazione per via di un finale non convenzionale. Lo stacco, causato da un ben poco originale risveglio da un incubo, è abbastanza evidente ma non rovina la bellezza delle tavole precedenti in cui vengono apparecchiate le gesta dei paperi, più o meno assennati, e di “Benzina” Banzoni.
Fiamme e distruzione!
Più classica è invece l’altra storia barksiana,
Paperino capopompiere. Ciò che la avvicina alle vicende dell’
Incendiario, riferimenti infiammabili a parte, è la caratteristica principale del papero che, con il passare dei decenni fino alla stretta attualità, è andata desolatamente affievolendosi.
Paperino di base è intraprendente, in una maniera però così folle e autodistruttiva da portarlo – in totale buona fede – a risultati basati su un
ribaltamento delle aspettative: un disastro tira l’altro e, in questo caso, si assiste alla sua degradazione a ruoli sempre più marginali nel fondamentale corpo dei pompieri di Paperopoli. Che il numero 13 sul suo casco fosse già un malaugurato avvertimento? In una storia di cui si respira a pieni polmoni una certa americanità di fondo, il meccanismo della malasorte applicato a quella cifra è funzionale:
Paperino è sì sfortunato, ma davanti alle difficoltà non si rifugia in una confortante e autoassolutoria pigrizia da amaca.
Allo stesso modo una caratterizzazione simile, pur spogliata della
verve di Barks, compare in
Paperino pompiere, di poco successiva. Qui l’ambientazione è un generico e proletario sobborgo in cui i paperi, Pippo e Gambadilegno vivono l’uno accanto all’altro; la distinzione netta tra Paperopoli e Topolinia, evidentemente, è ancora di là da venire. Anche il ritmo non è quello proprio del fumetto, dato che
sembra di assistere a un corto d’animazione, con logiche che tuttavia funzionano anche su carta. Il ruolo dei pompieri nelle piccole comunità americane è, si sarà capito, fondamentale e i paperi ne sono del tutto consapevoli. La particolarità di questa storia risiede semmai nel rapporto conflittuale tra Paperino e
un acerbo Zio Paperone, qui ritratto come un vecchietto maligno che vive in una stamberga, con l’insolita “capigliatura” che avrebbe ritrovato cinque decenni dopo in due rare apparizioni in
Mickey Mouse Works e nella coppia di film natalizi del 1999 e del 2004 con gli
standard characters. Nulla di trascendentale, ma questa abbozzata versione della “Paperopoli” di
Paul Murry merita una certa attenzione, essendo peraltro assente dal 1997 nelle testate Disney italiane.
Basette d’antan e malefici sogghigni
Ottimo l’inserimento, sempre in questo recupero dell’antico, di
una storia poco nota di
Gil Turner con Ezechiele, Lupetto e i Tre Porcellini, perfettamente in tema con le altre. Cosa che non si può dire, invece, di
Topolino contro la banda elettrica di
Bruno Concina e
Sergio Asteriti: una serie di furti inspiegabili si scatena a Topolinia, “la Polizia brancola nel buio”, Pippo sembra essere coinvolto in prima persona, Topolino risolve il caso. Tutto è assai classico, a partire da un buon utilizzo di Basettoni e Manetta che a tratti ricordano le proprie versioni originali delle strisce sindacate, ma sembra stonare rispetto alla scelta perfettamente calibrata delle Superstar di novembre 2020 data l’assenza di qualsivoglia elemento riconducibile ai vigili del fuoco. Lodevole, comunque, come riproposizione di un buon giallo urbano, perché di questo stiamo parlando, a tredici anni dall’ultima ristampa sulle
Imperdibili.
Come già avvenuto nel passato più recente, tuttavia, è di nuovo il caso di una storia il cui legame con le altre “perle rare” è decisamente labile se non addirittura inspiegabile.
Poco male, comunque, rispetto a una prima parte dell’indice che non brilla particolarmente neanche questo mese. L’albo si apre, in continuità con il
numero 49 dello scorso gennaio, con le vicende della
cometa Teta. Sul
“ciclo delle comete” firmato da
Fabio Michelini sono poche le cose da dire, in verità: stilemi cari all’autore partenopeo, a partire da uno
spiccato e personalissimo gusto per il fiabesco applicato ai personaggi Disney, si rincorrono nei due tempi di questa avventura in cui Topolino e Eta Beta fronteggiano i dispetti di Teta, in un
tourbillon che porta alla comparsa di un “bruco nero” divoratore di mondi. Nonostante un
sottinteso appiattimento dell’uomo del 2000 sulla sua versione “extraterrestre”, è tuttavia degno di nota il tentativo di trovare
un compromesso con la caratterizzazione walshiana di Eta Beta, riprendendo ad esempio il traduttore universale già apparso nella storia d’esordio di questo peculiare comprimario. Notevoli, invece, i disegni di
Massimo De Vita, che tra gli anni Ottanta e i Novanta aveva raggiunto probabilmente la vetta apicale della sua carriera di disegnatore di
Topolino.
Qualsiasi lingua, inclusa quella interrogativa delle comete Il resto è ordinaria amministrazione, con una serie di riempitive che, nel bene e nel male, mostrano le varie potenzialità dei personaggi Disney. Se infatti abbiamo una buona commedia con lo strampalato
01 Paperbond proveniente dall’ampio corpus autoriale di
Dick Kinney e
Al Hubbard, storie come
Gilberto e i poeti spaziali (attribuita a Martina, ma
in realtà scritta dai Barosso; disegni di
Perego) e
Qui, Quo, Qua e il richiamo radiocomandato (
Lockman e
Strobl, per
l’ineluttabile “quota Newton” del mese) fanno invece parte di quel vastissimo sottobosco di “avventure” minori che – purtroppo – appesantiscono la lettura di un albo complessivamente di buona fattura.
Esulano da questo discorso la simpatica
Paperino e la caccia all’amuleto di
Chendi e
Capitanio e, soprattutto,
Zio Paperone e il grande “party”: in questo caso
Dalmasso riesce a scrivere un Paperone simil-barksiano, disposto a tutto pur di imbucarsi a un fastoso ricevimento del notabilato paperopolese, rendendo così interessante una storia che di primo acchito potrebbe sembrare quasi banale.
Notizie dall’edicola disneyana Piccola postilla, un extra che ci fa piacere segnalare in calce a questa recensione. Da tempo
I Grandi Classici escono in edicola accompagnati da una sorta di “scudiero editoriale” che, forte del potente nome del titolare della testata, sembra riscuotere un buon successo:
Zio Paperone.
Pur non essendo una collana che il Papersera recensisce, stavolta è cosa buona e giusta fare una piccola eccezione.
Differentemente dal solito
trend, vale a dire la ristampa un po’ casuale di avventure paperoniane di produzione italiana degli ultimi vent’anni,
Zio Paperone 29 sfoggia un indice insolito. Presentate da
Francesco Gerbaldo, curatore di
Cronache dal Papersera, in apertura vengono proposte
una classica scarpiana e il suo sequel danese.
Paperino e la farfalla di Colombo e
Zio Paperone e il popolo delle farfalle sono strettamente collegate tra loro per motivi forse poco noti ai lettori italiani: la prima, risalente al periodo autoriale più felice di Scarpa, è un’avventura molto amata in Germania in quanto
presente sul primo, storico numero di Lustiges Taschenbuch, periodico di lungo corso tedesco; la seconda, invece, è un deferente omaggio all’autore veneziano in occasione dei cinquant’anni della testata teutonica. A prescindere dalle altre storie proposte, è un albo da recuperare.
Voto del recensore:
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