Recensione I Grandi Classici 53 Come capitato più di una volta, la copertina del numero di maggio (che fedeli ai nostri princìpi recensiamo a fine giugno) è una (bella) rielaborazione da parte di
Giorgio Cavazzano dei disegni di una storia di… Giorgio Cavazzano. Significativa la differenza di stile nei ventidue anni che intercorrono tra la pubblicazione di
Zio Paperone e la galassia dei profeti indovini, e questa sua quinta ristampa (o sesta, se si vuol contare una delle mitiche
Raccolte Topolino): allora era all’apice della “linea curva”, scolpita nella memoria dei lettori in un dinamico classicismo che ha fatto storia; negli anni Duemila molti ricorderanno il progressivo e peculiarissimo geometrizzatarsi in uno stile terso e dalla recitazione impeccabile; e infine ecco la graduale fluidificazione rispetto a quel rigore geometrico, tipica degli anni Dieci, con linee più differenziate e corpi lievemente più compatti: quasi un ritorno agli anni Novanta in questo secondo aspetto, ma molto diverso nell’economia della tavola a vantaggio della recitazione, retaggio appunto della stagione immediatamente precedente. Fino allo stile attuale, quello di questa copertina appunto, che sembra transitare dopo tanto tempo verso linee più appuntite e che promette una nuova interessante stagione del Maestro di Cannaregio.
La storia, opera di
Rodolfo Cimino, ha uno spunto molto originale dal sapore barksiano, con uno sviluppo forse poco movimentato ma con un arguto cavillo logico-giuridico finale.
Buona la prova del collaudato duo
Dick Kinney & Al Hubbard in
Paperoga cacciatore degli abissi, in cui il decisivo valore aggiunto alla storia è rappresentato dall’indipendenza morale e argomentativa… del gatto Malachia.
Dopo una azzeccata quando leggera
one-page dei prolificissimi
Vic Lockman e
Tony Strobl (con le immancabili chine di
John Liggera, quelle stesse che a parere di chi scrive ci hanno consegnato uno Strobl al di sotto delle sue possibilità) ecco
Le Tops Stories:
Topolino e la caverna di Alì Babà è una buona storia del ciclo, forse non la migliore, ma con il pregio di una buona e sostanziosa elaborazione. E cogliamo l’occasione per segnalare ai più distratti del materiale davvero interessante: una succosissima conversazione con
Giorgio Pezzin, datata 23-24 maggio 2020, ad opera di Fabio Del Prete;
qui e
qui le due parti dell’intervista, densa di informazioni anche molto personali e talvolta molto divertenti sull’opera dell’autore veneto e su questo ciclo di storie in particolare, compreso l’enigma del fantomatico “finale”.
Nulla più di uno spunto, condito dai sempre funambolici (è il caso di dirlo) disegni di
Carl Barks,
Paperino e la gara di sci acquatico; e assai bella a parere di chi scrive, nel suo continuo straniamento,
Ser Lock e il furto d’auto: gli autori non sono riportati né sull’albo né sull’Inducks, ma il disegnatore è certamente lo stesso di molti degli episodi di Ser Lock, ossia un membro del
Jaime Diaz Studio. L’assenza dell’informazione è forse da imputarsi al fatto che la prima pubblicazione di questa storia avvenne per motivazioni che ignoriamo su un settimanale jugoslavo il quale, come
Topolino per lungo tempo, non pare aver segnato i nomi degli autori nella prima tavola.
Come rubare un’auto Si vola meno alto con
Pippo e la superfantasia, di
Alfredo Saio e
Andreina Repetto, soprattutto per i disegni – spiace dirlo – veramente statici di
Sandro Dossi.
Degne di grande interesse invece le
Superstar: anzitutto
Archimede e la superventosa, piccola perla della fortunata collaborazione tra
Michele Gazzarri e
Giovan Battista Carpi ai testi (però su soggetto del Walt Disney Program), che chi scrive ricorda di aver letto a suo tempo sulle mitiche
Imperdibili. Un po’ più debole
Paperino re delle banane (autore ignoto, disegni del veterano
Jack Bradbury), che paga una impostazione al risparmio della trama, ma beneficia di alcune trovate che in altro contesto avrebbero fatto buona figura.
Una strana antesignana di Miss Paperett e il Commendator de’ Paperoni in una gagliarda distonia prospettica
Ma a fare la parte del leone in questo numero è
Paperino nel mare di Groenlandia, la
prima storia di Giuseppe Perego con i paperi e seconda in assoluto (siamo nel 1952) dopo l’immaginifica
Topolino e il satellite artificiale. Un profluvio di gloriose storture, inquadrature incerte e volti irriconoscibili in cui lentamente, a forza di sbozzare, comincia ad emergere lo stile dell’autore che ben conosciamo e che avrebbe goduto della sua migliore stagione negli anni immediatamente successivi.
Una vera perla per gli appassionati che coinvolge ovviamente anche la storia, opera dell’allora
factotum Guido Martina, piena di spostamenti e battute imprevedibili, oltre che di situazioni estreme veramente ben imbandite, e che suscitano più volte il riso tipico del dolce straniamento. Il tutto con in sottofondo l’ombra di un atavico nemico di Qui Quo e Qua, tipico del suo tempo: il tremendo olio di fegato di merluzzo usato a scopo curativo.
Di segno opposto – ma ancor più bella, nella sua perfetta misura ritmica – la storia conclusiva,
Zio Paperone e il monte degli eremiti, sempre di
Guido Martina, con un
Luciano Bottaro decisamente in gran forma.
Noi ci fermiamo qui, in colpevolissimo ritardo come sempre, e vi diamo appuntamento al prossimo numero… che è già in edicola! Buona lettura!
Quanto disinteressato affetto…Voto del recensore:
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