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La scuola italiana e i suoi modelli

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    Re: La scuola italiana e i suoi modelli
    Risposta #15: Giovedì 17 Mar 2016, 12:09:38

    Il difetto dei danesi è che sono più realisti del re, ovvero più barksiani di Barks. Quello che in lui era genuina invenzione, in loro è manierismo. Si perde freschezza, esattamente come accade quando nella scuola italiana si ripropongono cliché ormai fuori dall'attualità.

    C'è anche da fare un'altra considerazione sulle differenza tra l'Italia del dopoguerra e gli Usa. Sappiamo bene che l'Italia è stato Paese di confine nella cortina della Guerra Fredda e questo Paese ha avvertito prepotentemente gli effetti che derivavano da questa situazione. In un certo senso, fino almeno a qualche decennio fa, una visione "comunista" del concetto di padrone-lavoratori, del capitalismo e di altre cose erano diffuse. Ed anche queste hanno contribuito a dare certi connotati a Paperone. Generalmente un personaggio che è un imprenditore negli Usa è considerato un personaggio positivo; in Italia, fino a poco fa, era considerato negativo a prescindere.

    I danesi infatti te li fili via come l'acqua, sono come i pre rafaeliti, piacevoli eh, ma una mostra intera ti macina i testicoli  ;D

    Sicuramente il fatto di aver avuto il più grosso Partito Comunista del mondo occidentale ha influito, ma c'è anche da dire che il PCI si è sempre interessato assai poco ai fumetti di questo tipo, ritenendoli (come il rock n roll) colonialismo culturale di matrice imperialistica. Negli anni '70, poi, il PCI perde l'egemonia culturale a sinistra, con la nascita dei movimenti extraparlamentari (Manifesto, Aut. Op., Lotta Continua, D.P.) e vengono fuori tutti quei grandi fumettisti quali Bonvi e Pazienza. Quindi diamo a Cesare quel che è di Cesare, ma non penso che la visione dell'imprenditore sia poi così influenzata da questo, Adorno d'altronde disprezza anche Paperino
    Ahimè! Così finisce una grande missione di cultura e di civiltà!

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      Re: La scuola italiana e i suoi modelli
      Risposta #16: Giovedì 17 Mar 2016, 13:44:46

      Quindi diamo a Cesare quel che è di Cesare, ma non penso che la visione dell'imprenditore sia poi così influenzata da questo

      Sicuramente sono tanti i motivi che concorrono a questa visione dell'imprenditore. Più che trovarne l'effettiva causa, il mio scopo era quello di far notare che questa visione c'è. Molto credo che dipenda dal fatto che in Italia manca una visone calvinista del lavoro e della vita, cosa che per certi versi è un bene e per altri è un male. L'uomo di successo negli Usa è visto con ammirazione e invidia; in Italia solo con invidia e sul suo conto nascono immediatamente sospetti su come sia arrivato al successo.

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        Re: La scuola italiana e i suoi modelli
        Risposta #17: Giovedì 17 Mar 2016, 13:54:00

        Sicuramente sono tanti i motivi che concorrono a questa visione dell'imprenditore. Più che trovarne l'effettiva causa, il mio scopo era quello di far notare che questa visione c'è. Molto credo che dipenda dal fatto che in Italia manca una visone calvinista del lavoro e della vita, cosa che per certi versi è un bene e per altri è un male. L'uomo di successo negli Usa è visto con ammirazione e invidia; in Italia solo con invidia e sul suo conto nascono immediatamente sospetti su come sia arrivato al successo.

        Ringrazio, ifiuto l'offerta del calvinismo e vado avanti con il mio welfare  :D
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          Re: La scuola italiana e i suoi modelli
          Risposta #18: Giovedì 17 Mar 2016, 14:54:03
          Mi sembra un'ottima categoria di analisi. Anzi altre volte ho cercato di esprimere il concetto del linguaggio (inteso appunto come messa in scena, oltre che come dialoghi) senza trovare l'espressione giusta.

          Provare a fare queste cose da solo è difficile! Ti consiglio la lettura di questo:




          Trattasi dell'indiscussa bibbia dell'analisi teorica del mezzo fumetto, e al contempo di un capolavoro di fumetto (non è un saggio in prosa, è un fumetto sul fumetto).







          Citazione
          Ci credo!
          Come ho provato a suggerire altrove (forse un po' off topic, magari quel messaggio andrebbe spostato nel topic generale di Guido Martina), consiglio di approfondire il Martina Anni Settanta. Complice anche la raggiunta maturità stilistica di tutti i disegnatori (vedi discorso di prima) le storie di Martina diventano davvero complete, con uno stile proprio e scattante, con ritmi -a mio parere- molto più definiti che in passato. Non voglio con questo dire che il Martina tardo è meglio del Martina "Fifties" (non scriverà più un Fantasma raffreddato o una Scuola modello), ma che sotto l'aspetto della messa in scena è assai più intrigante e coerente, e pertanto lo consiglio: Spada del Samurai, Campagna elettorale, le grandi storie con De Vita extra-Paperinik (il ciclo di Paperinik è un caso a parte, e molto interessante anche).

          Grazie dei consigli. Di recente da quel periodo ho letto Paperino e l'Iniquo Equo Canone, e devo ammettere che è stata sicuramente assai digeribile. La messa in scena era equilibrata, e a livello di inventiva linguistica l'autore era al top!
          Quest'esempio mi ricorda anche un'altra caratteristica peculiare di Martina. In lui l'esigenza di piazzare giochi di parole e scambi di battute arguti era così preponderante da arrivare a sottomettere la trama e la caratterizzazione dei personaggi! Ne L'Iniquo Equo Canone Paperino e Paperoga sono ritratti come dei semi-analfabeti - decisamente fuori personaggio anche per i canoni di Martina, diciamocelo - al solo esplicito scopo di fare un paio di gioco di parole (equo ---> equino per Paperino e approvato l'equo canone ----> provato il nuovo cannone per Paperoga). Una cosa del genere la dice lunga sull'approccio ai personaggi Disney di Martina. Non "attori in grado di recitare una grande vastità di ruoli", come è per tutti gli altri autori disneyani, ma proprio "marionette vuote da manovrare a suo piacere". Hanno ragione Boschi, Beccattini e compagnia quando sottolineano che il fumetto di Martina discende direttamente dalla commedia italiana, dalle maschere.
          Stenderei un velo pietoso su come trattava invece Topolino. Quello lo sceneggiava per questioni puramente alimentari. Il suo Topolino diventa sempre più negli anni davvero un personaggio noioso e prefettino che risolve gialli (brutti gialli, da quel poco che ho visto). Non lo amava Topolino secondo me, e forse non lo capiva.

          Citazione
          Fate caso al fatto che la narrazione chendiana è spesso molto focalizzata; non su un personaggio fisso, ma su quello che di volta in volta occupa la vignetta (e raramente ci sono molti personaggi insieme, proprio per questo).

          E se non è una caratteristica barksiana questa!  :)

          Citazione
          Ora che, come dici, lo stesso PK ha sdoganato certi meccanismi, c'è più comunicazione con altre tecniche. La regia della tavola di Don Rosa (per me Sommo nella cura dei dettagli comici, dai classici topolini in su) non si ritrova in nessun autore italiano, ma credo che quella di Casty, nelle storie più importanti, sia molto valida. Ti consiglio da questo punto di vista (ma l'avrai forse già letta) Il Mondo di Tutor.

          Certo, da anni gli autori italici sono i più aperti al mondo alla contaminazione con altri fumetti.
          Ma non Casty, i cui lavori più recenti mi paiono invece da questo punto di vista quasi un'involuzione. Le sue storie si muovono in direzione degli aspetti meno interessanti del primo Scarpa, finanche rincarando la dose (quella messa in scena infantile e quella tendenza al didascalico di cui parlavo nel mio messaggio precedente). E mi dispiace dirlo, visto che non sei il primo che me lo consiglia: fra tutte quelle che ho letto, proprio Il Mondo di Tutor è la sua peggiore peggiore peggiore storia, quella in cui il suo principale difetto (non parlare a tutti, rivolgersi ai soli bambini) diventa più marcato.   

          E Casty ci riporta al legame coi maestri americani. Si parla spesso - e male - del legame tra Casty e Gottfredson&Scarpa. Si tratta secondo me d'un legame assai assai superficiale.
          Gottfredson e Scarpa ci hanno insegnato a guardarci intorno, a osservare il nostro mondo e il nostro tempo (i film, le mode, l'attualità politica, il clima internazionale) e a trasporlo umoristicamente nelle storie di Mickey.
          Da questo punto di vista, se c'è un italiano uno che ha imparato la lezione di Gottfredson e del giovane Scarpa è Faraci. Gottfredson andava al cinema, vedeva il prigioniero di Zelda o i film Western, e se ne usciva con Il sosia di re sorcio o Il bandito pipistrello. Scarpa portava la fidanzata al cinema a vedere Hitchcock, e tornato a casa scriveva L'Unghia di Kalì e La collana Chirikawa. Faraci accendeva la televisione, vedeva serie televisive poliziesche, oppure andava al cinema a vedere De Niro e Pacino in un film di Michael Mann, e poi davanti al pc se ne usciva con Dalla Parte Sbagliata e Anderville.
          Casty trae ispirazione soprattuto dal passato (spesso direttamente da Scarpa e Walsh, senza neanche uscire dal medium).

          È per questo che mi viene da sorridere quando leggo che "Casty ci riporta al Gambadilegno cattivo di Gottfredson, che tenta di uccidere il topo e non ci fa comunella". Tecnicamente è vero. Ma siete sicuri che oggi Gottfredson si servirebbe così di Pietro? Non lo so, il dubbio mi viene...

          Citazione
          C'è forse una cateogoria analitica che potremmo mutuare dalla letteratura italiana, ed è quella sorta di ambiguità che caratterizza molta letteratura italiana. Uno straniero spesso trova la letteratura italiana piuttosto peregrina, al di là della bellezza stilistica, perché constata che molte altre (dall'inglese alla russa) esprimono i concetti in maniera molto più chiara. È facile riassumere un libro inglese, di solito, ed enuclearne le tematiche, salvo poi addentrarsi nei necessari dettagli e perle di stile. Ma c'è una gerarchia, come c'è una gerarchia nella regia della tavola di Don Rosa.
          Nella letteratura italiana invece - e per me questo è un grande pregio, a suo modo - spesso la comunicazione è obliqua. Il pregio di libri come I promessi sposi non è nel presentare la storia che presenta. È... in tutto il resto. In un certo senso la letteratura italiana si sente così vecchia da aver già esperito il senso letterale duemila anni fa (quand'era latina...).

          Vero, ma da qui a proiettare la cosa sul fumetto Disney io ci andrei piano. Comunque è una chiave di lettura verosimile.
          « Ultima modifica: Giovedì 17 Mar 2016, 14:58:16 da Monkey_Feyerabend »

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            Re: La scuola italiana e i suoi modelli
            Risposta #19: Giovedì 17 Mar 2016, 15:41:51
            Di recente da quel periodo ho letto Paperino e l'Iniquo Equo Canone, e devo ammettere che è stata sicuramente assai digeribile. La messa in scena era equilibrata, e a livello di inventiva linguistica l'autore era al top!
            Quest'esempio mi ricorda anche un'altra caratteristica peculiare di Martina. In lui l'esigenza di piazzare giochi di parole e scambi di battute arguti era così preponderante da arrivare a sottomettere la trama e la caratterizzazione dei personaggi! Ne L'Iniquo Equo Canone Paperino e Paperoga sono ritratti come dei semi-analfabeti - decisamente fuori personaggio anche per i canoni di Martina, diciamocelo - al solo esplicito scopo di fare un paio di gioco di parole (equo ---> equino per Paperino e approvato l'equo canone ----> provato il nuovo cannone per Paperoga). Una cosa del genere la dice lunga sull'approccio ai personaggi Disney di Martina. Non "attori in grado di recitare una grande vastità di ruoli", come è per tutti gli altri autori disneyani, ma proprio "marionette vuote da manovrare a suo piacere". Hanno ragione Boschi, Beccattini e compagnia quando sottolineano che il fumetto di Martina discende direttamente dalla commedia italiana, dalle maschere.
            Stenderei un velo pietoso su come trattava invece Topolino. Quello lo sceneggiava per questioni puramente alimentari. Il suo Topolino diventa sempre più negli anni davvero un personaggio noioso e prefettino che risolve gialli (brutti gialli, da quel poco che ho visto). Non lo amava Topolino secondo me, e forse non lo capiva.

            Peperino e l'iniquo equo canone è una storia che ho letto anche io molto recentemente, e l'ho trovata una bella storia.

            Solo un piccolo appunto (personale): Paperino non l'ho visto come un'analfabeta, ma un cittadino semplice con una semplice terza media (se non di meno). Non lavorando non conosce termini specifici e professionali di nessun settore, figuriamoci quindi conoscere "equo" o saper fare le moltiplicazioni passando tutti i giorni a lavorare da anni (E Martina molto probabilmente vedeva anche il passato dei protagonisti in modo diverso, sempre in modo  riflesso a com'era l'Italia in quegli anni e nei precedenti.

            Su Topolino si potrà difendere in qualsiasi modo Martina, ma è vero. Il suo Topolino era molto antipatico in molte storie, e quando non lo era rimaneva comunque un personaggio che non colpisce i lettori adesso. Però in quegli anni era funzionale, credo.
            Ora il lettore è molto influenzato dagli elementi tipici dei manga, che tentano in tutti i modi di non creare personaggi piatti.
            Ora, un detective alla Sherlock Holmes non si può più avere.
            Ora, i detective sono altri. Basti pensare a Dylan Dog, o la sua variante sempre "bonelliana" Nathan Never.

            Per fare gialli il personaggio doveva essere pressoché quello che Martina portava in Topolino.

            E comunque si, molti gialli di Martina non sono poi tanto riusciti.



            È per questo che mi viene da sorridere quando leggo che "Casty ci riporta al Gambadilegno cattivo di Gottfredson, che tenta di uccidere il topo e non ci fa comunella". Tecnicamente è vero. Ma siete sicuri che oggi Gottfredson si servirebbe così di Pietro? Non lo so, il dubbio mi viene...
            Vero, ma sicuramente non lo userebbe come lo usano molti ora. L'avrebbe sicuramente "addolcito", ma non a certi livelli.

            E trovo comunque il far tornare i personaggi cattivi una bella cosa.
            A proposito..Hai mai letto Topolino e l'incubo orbitale? E' davvero una bella storia di Casty, che credo ti potrà piacere.


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              Risposta #20: Giovedì 17 Mar 2016, 15:59:42

              Casty trae ispirazione soprattuto dal passato (spesso direttamente da Scarpa e Walsh, senza neanche uscire dal medium).


              Se non ti piace ci mancherebbe ma, solo per fare un recentissimo esempio, proprio l'ultima storia di Casty (Qualcosa nel buio) prende spunto dal cinema horror di qualche anno fa, stile The Blair Witch Project con lo stile della telecamera amatoriale. E' vero, non è completamente contemporaneo essendo passati una quindicina d'anni...

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                Risposta #21: Giovedì 17 Mar 2016, 16:15:27

                 Ne L'Iniquo Equo Canone Paperino e Paperoga sono ritratti come dei semi-analfabeti - decisamente fuori personaggio anche per i canoni di Martina, diciamocelo - al solo esplicito scopo di fare un paio di gioco di parole (equo ---> equino per Paperino e approvato l'equo canone ----> provato il nuovo cannone per Paperoga). Una cosa del genere la dice lunga sull'approccio ai personaggi Disney di Martina. Non "attori in grado di recitare una grande vastità di ruoli", come è per tutti gli altri autori disneyani, ma proprio "marionette vuote da manovrare a suo piacere". Hanno ragione Boschi, Beccattini e compagnia quando sottolineano che il fumetto di Martina discende direttamente dalla commedia italiana, dalle maschere.

                Il consiglio del libro è utilissimo e ti ringrazio fin da ora per la dritta  8-)

                Sul ruolo delle maschere non ne sarei così convinto. Mi spiego: è chiaro che ogni autore ha una firma stilistica che fa riconoscere la sua mano dietro le storie, e che sta anche  nella caratterizzazione dei personaggi. Don Rosa usa un Paperino spesso ingenuo ma con un sacco di cuore, pigro ma coraggioso, Barks usa più o meno gli stessi attributi ma calcando di più su un lato avventuroso, Martina lo vede malmesso ma anche astuto. E' un personaggio, il Paperino martiniano, che si vede gettato in un mondo ostile, che spesso non capisce appieno e a cui reagisce come può. E quindi si cerca di evitare il lavoro ecc. ecc.

                Che Martina abbia creato Paperinik, secondo me, ci permette di identificare due cose della sua visione, vicine e opposte insieme:
                1) I personaggi sono fissi, nel senso che lo stesso Paperino, per avere una redenzione da quella che è una vita "miserabile" deve cambiare identità. Deve abbandonare il proprio ego e assumerne un altro.
                2) I personaggi sono anche poliedrici, capaci di spiazzare, di capovolgere l'universo con un semplice cambio.

                Non è un ruolo da maschere, ma sicuramente ci mostra una concezione dei ruoli che è abbastanza unica nel mondo Disney. Non credo che la scadente storia del canone basti per identificare un autore con una carriera trentennale nel fumetto, quando è forse più importante cercare di cogliere il movimento generale di questa opera.

                Sul disprezzo per Topolino siano perfettamente d'accordo.

                Ahimè! Così finisce una grande missione di cultura e di civiltà!

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                  Re: La scuola italiana e i suoi modelli
                  Risposta #22: Giovedì 17 Mar 2016, 17:08:16
                  Interessante topic, comunque ampiamente sviscerato già da Luca Boschi circa 25 anni fa...

                  Comunque, qui si parla di una scuola italiana, ma in realtà le scuole erano almeno tre, e tutte differenti: quella veneziana, quella milanese, quella ligure.

                  Le analogie col cinema sono state ufficialmente conclamate già da decenni: Scarpa ha sempre detto di essersi ispirato a Sordi per tratteggiare il carattere di Filo Sganga e, questo lo aggiungo io, i Bassotti "italiani" sembrano tanto I Soliti Ignoti, in quanto a cialtroneria.
                  Inoltre, come dimenticare le suggestioni reciproche?
                  Riusciranno i nostri eroi a ritrovare l'amico misteriosamente scomparso in Africa? di Scola, con Sordi, Blier e Manfredi ha una trama del tutto sovrapponibile a quella del Pippo Tarzan di Scarpa, mentre il linguaggio pseudomedievale di Brancaleone è chiaramente ispirato a quello di Paperino alle Crociate di Chendi.

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                    Re: La scuola italiana e i suoi modelli
                    Risposta #23: Giovedì 17 Mar 2016, 17:52:56
                    Oddio, senza scendere troppo in OT ma...

                    Don Rosa usa un Paperino spesso ingenuo ma con un sacco di cuore, pigro ma coraggioso, Barks usa più o meno gli stessi attributi ma calcando di più su un lato avventuroso

                    su questo non sono d'accordo. Il Paperino di Don Rosa è poco più che una macchietta, una comparsa, spesso un peso di cui disfarsi. Un esempio lampante è dato da I guardiani della biblioteca perduta, dove Paperino preferisce rimanere a vedere il suo programma televisivo preferito piuttosto che seguire Paperone e i nipotini alla ricerca della biblioteca di Alessandria. Anche quando segue Paperone in zone sperdute, come, per esempio, nel caso de l'ultimo signore dell'El Dorado, Paperino è poco più che un assistente, la cui vita vale meno di ciò che porta (ricordate la scena della mappa e di Paperino sospeso su due fili? Ecco, quello è un ottimo esempio). E persino dove Paperino è protagonista, come, per esempio, nella divertentissima Accadde al grattacielo De' Paperoni, fa la figura del completo idiota.
                    È molto diversa dalla caratterizzazione che ne dà Barks: prono all'avventura, capace di sostenere (anche se con scarsi risultati) diversi lavori, spalla fondamentale di Zio Paperone.

                    Paperino alle Crociate di Chendi.

                    Presumo sia un refuso (colpa del sequel di Brancaleone). Intendevi Paperino il Paladino?

                      Re: La scuola italiana e i suoi modelli
                      Risposta #24: Giovedì 17 Mar 2016, 21:45:25

                      Se non ti piace ci mancherebbe ma, solo per fare un recentissimo esempio, proprio l'ultima storia di Casty (Qualcosa nel buio) prende spunto dal cinema horror di qualche anno fa, stile The Blair Witch Project con lo stile della telecamera amatoriale. E' vero, non è completamente contemporaneo essendo passati una quindicina d'anni...

                      Sorry, non ho letto tutto di Casty. Produce tantissimo, di sicuro chissà quante suggestioni prende dal mondo contemporaneo, ci mancherebbe! E anzi si diverte anche a prendere in giro certi modi di fare dei nostri giorni.
                      Però siamo d'accordo che in generale tende a uno stile un po' fuori dal tempo. Non è una cosa negativa eh.
                      « Ultima modifica: Giovedì 17 Mar 2016, 22:09:57 da Monkey_Feyerabend »

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                        Re: La scuola italiana e i suoi modelli
                        Risposta #25: Giovedì 17 Mar 2016, 21:49:13
                        Provare a fare queste cose da solo è difficile!

                        Difficile ma divertente... Grazie infinite per il consiglio, mi sarà senza dubbio prezioso!

                        Quoto anche AzureBlue su tutto (welfare incluso ;)), a partire dal giudizio su Martina e su Paperinik, e
                        Manca il pepe

                        L'espressione adatta, non solo nel confronto con Monicelli, ma anche con la vecchia scuola. È proprio questo il difetto che sento in buona parte degli sceneggiatori moderni (e che invece anche i meno noti fra gli sceneggiatori passati avevano): la mancanza di pepe non solo e non tanto nei comportamenti, ma nel linguaggio e nelle battute. Non "pepe" nel senso di insulti e cattiveria e ti spennerò vivo, tutt'altro. Credo che non ci sia di meglio che fare esempi di questo "pepe", scelti fra storie non necessariamente famose: Paperino e la scopetta a strappo (Dalmasso), Zio Paperone e l'epopea a scoppio ritardato (Concina: badate, siamo già in là con gli anni!), Pippo e la caccia al coccio da cacio (Barosso), Zio Paperone e la pensione ai poveri diavoli (Bottaro), Zio Paperone e i drammi del sottosuolo (Cimino), Paperino agente dell'F.B.I. (vabbè...)

                        Sulla separazione delle scuole, certo, ormai è nota, e non sarebbe male sviscerare le differenze. Per ora abbiamo solo cercato di capire cosa accomunasse queste tre scuole nel loro rapporto con i modelli.

                        Quanto al Topolino di Martina, per me talvolta è un mistero. E non perché non voglia ammettere che il Professore abbia sbagliato la dose (delle sostanze che certamente assumeva ;D), ci mancherebbe (ho riconosciuto in passato che pure Cimino ha sbagliato dei colpi), ma perché a volte mi sembra che in quel Topolino qualcosa ci sia. Un'ironia, un qualcosa, che poi viene sotterrato nel momento in cui l'attenzione si sposta su Pippo (splendido, il Pippo martiniano, alle sue prove migliori). Sbaglio di sicuro. Però gli elementi per un Topolino un po' più pessimista sulla realtà, più "duro" anche, sono a disposizione di uno sceneggiatore di belle speranze...

                        Citazione
                        Vero, ma da qui a proiettare la cosa sul fumetto Disney io ci andrei piano. Comunque è una chiave di lettura verosimile.
                        Ma certo, infatti ho specificato "piccolo" riflesso.

                        Questione Tutor; personalmente trovo che la componente didascalica non abbia inficiato gli altri pregi (uno fra tutti, la scena "Io sono Tutor! - Ve l'avevo detto che è ben piazzato!"). Il punto è che secondo me -ma capisco che, per sensibilità personali, a qualcuno abbia dato un'altra impressione, su queste cose non ci si può far nulla- questo didascalismo è azzeccato. Parlare ai bambini? In parte sì, e non mi ha mai dato fastidio. Ma non vedo buonismo in Casty, solo necessità fortissima, che nonostante il martellamento ipocrita di questi anni trova in questa storia una espressione sincera e incastonata in una trama vivace e "grossa".
                        Quello che invece va più nella direzione dell'"accomodante", se vogliamo, può essere il finale di TQAI (storia splendida), che in fondo si conclude con un selfie e tanti buoni sentimenti (in ogni caso irrobustiti da tutto quello che è successo prima).
                        Ma qui siamo off topic. ;)

                          Re: La scuola italiana e i suoi modelli
                          Risposta #26: Giovedì 17 Mar 2016, 22:08:37

                          su questo non sono d'accordo. Il Paperino di Don Rosa è poco più che una macchietta, una comparsa, spesso un peso di cui disfarsi. Un esempio lampante è dato da I guardiani della biblioteca perduta, dove Paperino preferisce rimanere a vedere il suo programma televisivo preferito piuttosto che seguire Paperone e i nipotini alla ricerca della biblioteca di Alessandria. Anche quando segue Paperone in zone sperdute, come, per esempio, nel caso de l'ultimo signore dell'El Dorado, Paperino è poco più che un assistente, la cui vita vale meno di ciò che porta (ricordate la scena della mappa e di Paperino sospeso su due fili? Ecco, quello è un ottimo esempio). E persino dove Paperino è protagonista, come, per esempio, nella divertentissima Accadde al grattacielo De' Paperoni, fa la figura del completo idiota.
                          È molto diversa dalla caratterizzazione che ne dà Barks: prono all'avventura, capace di sostenere (anche se con scarsi risultati) diversi lavori, spalla fondamentale di Zio Paperone.


                          Calma. Io invece mi ritrovo con la descrizione di AzureBlue del Paperino di Rosa: ingenuo, con un sacco di cuore, ma coraggioso.
                          Su i guardiani della biblioteca perduta Rosa ha spiegato perché ha messo in scena un Paperino più ignorantone del solito: la storia era una storia su richiesta tipo per la giornata nazionale del libro in Norvegia, o una cosa del genere per promuovere la lettura. Aveva allora bisogno di un personaggio che poltrisse davanti alla tv come "cattivo esempio". Quando si valuta Rosa va ricordato che molte cose, specie i sequel di storie di Barks, le ha fatte su richiesta di editori.
                          In Accadde al grattacielo De' Paperoni invece Rosa stava riproponendo uno schema tipico di molte storie di Barks dei '40, che i fan di zio Carl chiamavano "master Donald". Quelle storie in cui scopriamo fin dall'inizio con sorpresa che Paperino è improvvisamente diventato un maestro di livello assoluto in una qualche arte o in un qualche mestiere. Storie che si concludono immancabilmente in maniera disastrosa a causa della sua troppa sicurezza. Dalla storia successiva, l'arte è scomparsa e il papero torna il solito papero (o riappare con una nuova maestria  ;D).
                          Insomma fai due esempi abbastanza borderline. In generale Donald nelle storie di Rosa non è un peso. È anzi il personaggio chiave, che fa sempre da contrappunto umoristico all'azione del gruppo, e che spesso e volentieri risolve problemi (vedi per esempio Zio Paperone e il tesoro sotto vetro), o addirittura che vede più chiaro degli altri e fa la morale anche a Scrooge se serve (Sua Maestà de Paperoni).


                          Non sono però d'accordo sulla descrizione che AzureBlue faceva del Paperino di Barks. Quello non è solo "quello di Rosa ma calcando di più su un lato avventuroso". Soprattutto negli anni '40 il Donald di Barks è tutt'altro secondo me. Un personaggio di cultura e pieno capacità e savoir faire, che però ha il vizio di entrare in collisione con il mondo che lo circonda fino alle conseguenze più parossistiche. Ne ho scritto qui:

                          http://www.papersera.net/cgi-bin/yabb/YaBB.cgi?num=1334148316/15

                          *

                          AzureBlue
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                            Re: La scuola italiana e i suoi modelli
                            Risposta #27: Giovedì 17 Mar 2016, 23:32:41
                            Voglio ricordare anche le storie a tema "domestico" di Rosa ("Q.U.E.S.T.I.O.N.E.D.I.G.E.R.G .O." per dirne una) dove si va a indagare un po' sul lato sensibile di Paperino, spesso mascherato sotto una facciata scorbutica ma decisamente umana. E' un personaggio profondo, variegato, che se non tanto quanto Paperone, è comunque percorso a volte da dubbi esistenziali ("Il genio del compleanno", la storia in cui reincontra Josè Carioca). Più macchiette sono forse Qui, Quo, Qua, ligi al dovere, brillanti e sempre con una risposta pronta. Scena tipica è quella in cui il personaggio da cui prendo il nome, in "Le carte perdute di Colombo",  decide di sganciare le bombe sulla nave vichinga in cui si trovano i paperi: i nipotini stanno a petto gonfio, proclamando la scorrettezza dell'azione, Paperino si butta all'azione, incurante della sua sicurezza (cosa che farà più di una volta nelle storie donrosiane, senza eroismi) per salvarli. Io lo trovo un personaggio molto bello e ben studiato, ovviamente in secondo piano rispetto a quello che è l'amore di Rosa: Zio Paperone. Non mi ricordo chi diceva che, potevi essere chiunque, ma giocando con Maradona facevi brutta figura. Il discorso qui è lo stesso. ZP è il motore di tutto il lavoro donrosiano e tutti i personaggi vanno in ombra rispetto a lui.

                            Concordo anche con Monkey, ritrattando una parte della mia affermazione sul personaggio barksiano. D'altronde ragiono anche mentre butto giù e capita che mi sfugga un punto e ne metta invece un altro. Indubbiamente Paperino ha un lato colto, non è l'individuo sfatto di Martina: gli piace collezionare francobolli, andare in villeggiatura, da prova di conoscere il mondo e di essere capace di maggiore integrazione con la società rispetto alla sua versione donrosiana (d'altronde lo stesso Paperone barksiano era più social rispetto a quello donrosiano), ma ha sicuramente un'autonomia diversa. Si butta a capofitto in avventure fuori dal comune, si incaponisce, è disposto a lasciarci la pelle piuttosto che mollare. E' più caparbio e nobile, ma anche, forse, meno intimo.
                            Ahimè! Così finisce una grande missione di cultura e di civiltà!

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                              Re: La scuola italiana e i suoi modelli
                              Risposta #28: Giovedì 17 Mar 2016, 23:59:00
                              Il Topolino di Martina effettivamente non nasce per essere "simpatico". E' un personaggio alla Sherlock Holmes ma non irreale, anzi nella sua psicologia vi si possono riconoscere le mentalità più deduttive e dedite alla filosofia. E' un po' Nietzsche passato attraverso il filtro dannunziano, forse (e qui siamo in tema con gli influssi sulla scuola fumettistica italiana, titolo del topic).
                              Preferisco spesso il Topolino martiniano, devo ammettere, rispetto a quello tipico in Scarpa, e decisamente antepongo il martiniano a quello di tutti gli autori successivi (compreso Faraci). E questo perché il Topolino di Martina si cava fuori dai guai in base alla propria intelligenza (certo, con l'aiuto degli dii ex machina mediati da Pippo): non ha la meglio solo perché è Topolino nonostante le sue insicurezze e goffaggini che possono saltar fuori durante la storia. Nel primo Scarpa in qualche caso Topolino difetta di furbizia di fronte ai meccanismi del Male: un misto tra il Topolino incosciente degli anni '30 (quello in primo luogo amico di tutti e fiducioso nel prossimo: quando gli si paravano davanti delle macchinazioni malvagie, be', era sorpreso ma immediatamente la cosa si trasformava per lui in una sorta di gioco) e quello indolente di Walsh stravolto dai problemi che gli rovinano la routine (ed è per questo che non vuole riconoscere il Male, perché sarebbe uno shock). Ricordo che qualche tempo fa venne criticato il prodotto di Faraci MMMM proprio per il fatto che l'obiettivo era quello di far vedere come: cambiano le latitudini, cambia la fauna, ma Topolino vince sempre. Tanto rumore per nulla, dunque.
                              Il Topolino martiniano è pure lui un misto dei 2 Topolini gottfredsoniani (come potrebbe essere altrimenti?), ma la soluzione è diversa rispetto a Scarpa: può sembrare più banale per il semplice fatto che sembra porsi davanti al prossimo in maniera razionale, come nella vita reale. Cioè, senza aspettarsi troppo dal prossimo. Il Topolino martiniano non è protagonista di baci e abbracci coi suoi simili e questo certo comporta meno situazioni simpatetiche come nella sua controparte scarpiana, è ovvio. E' un borghese mediamente pantofolaio che non disdegna di mettere in pericolo la propria vita per l'amicizia col perennemente esasperato Commissario Basettoni, infatti è forse in questa contraddizione che il Mickey martiniano mostra di vacillare di più (è un paradossale modulo tipico del cinema d'azione americano: il tranquillo cittadino che all'improvviso diventa un giustiziere ossoduro), mentre da quello scarpiano ce lo si può aspettare perché è comunque un character sui generis e specchio della nostra volontà ottimista e costruttiva. I modi "borghesi" del Topolino di Martina emergono dalle sue opere di beneficenza: vedi La Doppia Vigilia di Natale. E' la creatura più buona del mondo, ci dice Martina di lui tramite le parole di Pippo. Perché Topolino apre la sua casa ai diseredati, fa regali ai bambini poveri della città (Il Panettone dell'Imperatore), sta - con le mani in tasca - a guardare il girotondo di una miriade di bambini festanti intorno a un albero di Natale grandissimo (il finale del Sole di Mezzanotte). Opere di beneficenza quasi "dettate dall'alto", svolte senza scomporsi (non lo vedremo abbracciare un bambino o altri di sua volontà). Fa delle buone azioni senza aspettarsi nulla dal prossimo. Quando gli si presenta di fronte il Male, anche da parte di chi indossava le vesti dell'agnello, è già preparato. In questo senso è un Topo pessimista, come ha notato il Dominatore delle Nuvole.
                              Sa comunque essere un personaggio ironico anche lui (anche se forse non arriviamo all'auto-ironia): l'intera Topolinia addormentata e lui da solo ad affrontare 4 malfattori, ma non manca di ironizza sulla beffa della situazione (I ladri ipnotici); lo spazientiscono le stramberie di Pippo (bisogno di citare?); lo disturbano i cambiamenti sociopsicologici dell'era della contestazione (Il pugno proibito).
                              Le discussioni di questo topic sono interessanti. Su Perego sono d'accordo: i suoi personaggi sono "fantocci" spiaccicati sulla carta come lo erano quelli dell'indimenticato Antonio Rubino, quindi non sono affatto sconvolgenti come li si dipinge. Per gli altri argomenti toccati, be', non chiudete il topic che potrei sempre tornare! ;)
                              « Ultima modifica: Venerdì 18 Mar 2016, 10:02:01 da Sam_Spade »
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                                Re: La scuola italiana e i suoi modelli
                                Risposta #29: Venerdì 18 Mar 2016, 09:54:07
                                cut

                                cut

                                C'è poco da fare: devo ritrattare anch'io.
                                Ho sempre visto il Paperino di Rosa come, appunto, una comparsa, ma devo ammettere che gli esempi che portate a contraddire la mia opinione sono decisamente solidi. Probabilmente sono stato guidato per anni da questa convinzione, e devo ammettere che fa piacere sapere di aver sbagliato.
                                Tralaltro non sapevo che i guardiani della biblioteca perduta, che è una delle mie storie preferite, fosse stata una richiesta editoriale.
                                Ed in effetti l'unico controesempio che avevo in mente era proprio quel sua maestà De' Paperoni citato da Monkey, dove appunto Paperino risponde con forza alle follie di Paperone. Ma poi, a ripensarci bene, Paperino è utile in quasi tutte le storie di Rosa, dalle avventure classiche (come il tesoro di Creso) a quelle celebrative (come un qualcosa di veramente speciale).

                                 

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