Topic interessante che m'era sfuggito...
Ho letto con curiosità il post iniziale che, per quanto si presenta un (bel) po' esagerato nei toni, a mio avviso veicola anche utili spunti di dibattito. Principalmente le tematiche che tratta @ Masoberto sono due: contenuti delle storie ed uso del linguaggio.
Sul primo aspetto non mi trovo particolarmente d'accordo, se non nel limitato ambito del rigetto che provo per le storie "tecnologiche" fine a se stesse, vale a dire quelle che enfatizzano elementi di tecnologica modernità senza che ciò sia prettamemente funzionale alla vicenda, risolvendosi di fatto in sterili elogi (o prese d'atto) di un presente sempre più "digitale" e meno umano (riprova ne è il fatto che questa stessa discussione si stia sviluppando fra persone che in buona parte neppure si conoscono ed interagiscono davanti ad un monitor).
Fatta questa premessa, le storie che si producono oggigiorno non mi sembrano cosi evidentemente sbilanciate verso lo scimmiottamento ai "filmacci ollivudiani", anzi trovo che leggendo assiduamente il settimanale si possa ritrovare un'ampia gamma di inedite, con una certa tendenza alla "marvelizzazione" (questo va detto), ma senza che ciò pregiudichi la possibilità di leggere anche storie diverse e più tradizionali, e qui è d'uopo un'altra considerazione: va bene invocare le sane avventure di una volta, però è anche vero che ogni qual volta ci si ritrova davanti una storia con una impostazione del genere, questa viene (quasi) sempre appellata quale "classica", "tradizionale", addirittura "già vista" e via dicendo; questo perchè l'invocato filone "di una volta" è stato parecchio spremuto nei decenni, dunque delle due l'una: o si innova o si rischia di scrivere storie che sanno di già visto, è difficile sfuggire a questa alternativa.
Altro aspetto che critico è quello dei "riferimenti all'attualità": a me pare che sempre le storie di Topolino abbiano sempre avuto tali rimandi, non ci trovo nulla di strano o di innovativo; forse cambiano i riferimenti perchè si evolve l'attualità cui riferirsi, ma il meccanismo generale non ha subito chissà quali stravolgimenti.
L'altro aspetto trattato nel primo post - e sul quale mi trovo molto più d'accordo - è quello relativo al buon uso della nostra lingua. Si invoca "un buon italiano, colloquiale, ricco e puro" e non trovo nulla di strano in ciò, in fondo Topolino è sempre stato un punto di riferimento per i giovani, ed è consapevolezza (o patrimonio) comune che molti lettori cresciuti fra gli anni '60 ed i '90 abbiano ampliato notevolmente il proprio vocabolario proprio grazie alla lettura del settimanale, apprendendo anche termini meno comuni, espressioni particolari, un vero e proprio "gusto" per il nostro idioma. Al tempo stesso, Topolino è sempre stato un riferimento anche dal punto di vista della correttezza grammaticale, quasi un'integrazione rispetto alle nozioni scolastiche, di sicuro un buon terreno di riscontro ed esercizio delle stesse.
Tuttavia, non si può negare che tutto ciò stia lentamente e parzialmente venendo meno.
Innanzitutto l'imbarbarimento del linguaggio, sempre più infarcito da termini anglofoni: mi si perdoni la fissazione (o anche no, se non si condivide il mio pensiero) ma, come ho recentemente scritto in un altro post, trovo veramente avvilente e sconfortante questo dilagare di un atteggiamento quasi servile nei confronti dell'odioso imperialismo linguistico anglofono!
Mi ricollego pertanto all'ottimo post di Gagnor (che condivido praticamente in tutto, oltre che nella forma educata, tranne che per questo specifico punto) per dire che si, è vero che la lingua si contamina ed evolve da sempre, ma bisogna guardare il fenomeno più in profondità: una cosa è l'arricchimento reciproco che deriva ad idiomi diversi dal contatto culturale, un'altra, molto diversa, è l'ottusa e pedissequa importazione di termini inutili da una lingua ad un'altra, cosa che appare ancor più grave quando si riflette sulla pochezza e la modestia del vocabolario della lingua "importata".
Fuor di metafora, trovo insopportabile il dilagante utilizzo di termini anglofoni quando il nostro idioma presenta una ricchezza e varietà di espressioni che gli anglofoni possono solo sognarsi! Noi che possiamo fregiarci della possibilità di esprimere un concetto con più vocaboli differenti preferiamo utilizzare termini stranieri che, il più delle volte, hanno più significati proprio per sopperire alla modestia del loro vocabolario... che assurdità! il tutto, ovviamente, con l'ovvia eccezione dei termini che descrivono oggetti nati un quel contesto culturale: in altre parole, non mi sognerei mai di spingere l'autarchia linguistica sino al livello di tradurre "computer" con "elaboratore elettronico" (per carità!), ma c'è davvero bisogno di dire "flyer" piuttosto che "volantino"?
Il tutto poi perchè? Spesso solo per moda, perchè ci si sente più moderni ed al passo con i tempi, ma in realtà ciò accade solo per una radicata e (sempre più) diffusa ignoranza che, nella difficoltà di individuare termini italiani idonei e confacenti, si rifugia nella facilità di un termine straniero che si presume di maggior comprensibilità. E' l'ennesimo frutto avvelenato della globalizzazione selvaggia, che impone dall'alto modelli sociali e culturali che si propongono di uniformare la società riducendone la ricchezza culturale (e linguistica, per quel che riguarda l'argomento in esame).
Infine, sul discorso della correttezza gramamticale, non taccio su certe "dimenticanze" che ultimamente affliggono certi numeri del settimanale, sempre ben evidenziate anche in queste apgine dagli utenti più attenti: una volta non accadevano (o comunque con molta minor frequenza); ora, non so se attribuirli a superficialità nella correzione delle bozze o a qualcos'altro che mi sfugge, fatto sta che se, come ritengo, vi sono soggetti pagati appositamente per svolgere questo compito di revisione, beh che stiano più attenti, quantomeno come i loro colleghi che li han preceduti nei decenni addietro.