E’ seccante che la parte del mio intervento che sembra aver raccolto piu' attenzione sia quella che aveva meno importanza; e per di piu’ sembra essere stata ampiamente fraintesa. Altrimenti non saprei spiegarmi la contraddizione tra
Qui partiamo proprio da convincimenti radicalmente opposti:
in risposta al mio “
Personalmente, preferisco pensare alla cosiddetta "globalizzazione" come ad un'occasione per l'arrichimento culturale”, e
Stima infinita... [smiley=other_worship.gif] [smiley=other_worship.gif] [smiley=other_worship.gif] [smiley=other_worship.gif] [smiley=other_worship.gif]
per qualcuno che mi sembra aver espresso quasi lo stesso concetto (in una versione forse piu’ chiara, ma anche piu’ limitata). In parte puo' essere dovuto ad un diverso significato che io e Gancio abbiamo dato alla parola "globalizzazione": mi chiedo se per lui sia quasi soltanto un fenomeno economico. Per come avevo inteso io questo termine, e' quello sviluppo storico per effetto del quale adesso siamo normalmente in contatto con culture diverse, e molto lontane sia geograficamente che storicamente, dalla nostra. Il che significa anche dire avere piu’ possibilita’ di sapere che sono esistititi, per dire,
Rumi e
Li Bai (e magari tentare di leggerseli in lingua originale).
Quanto all'interpretazione "globalizzazione = omologazione culturale per scopi commerciali", forse vale la pena di riflettere che un effetto secondario di questa omologazione e' che leggiamo fumetti Disney. (Detto questo, specifico che non ho difficolta' a vedere tale omologazione come un fenomeno complessivamente negativo.)
[O.T. Sul "complotto", mi scuso con Gancio: avevo letto male quanto da te scritto.]
Non ho detto che l'inglese non abbia dignità, ho solo scritto che, a quanto ne so, ha un vocabolario molto modesto, quantomeno di termini propri; buonissima parte del suo vocabolario include una anglicizzazione di termini stranieri importati a loro volta a causa della grande espansione coloniale e commerciale di quel popolo.
Ma anche ammettendo di aver torto (per carità, non mi arrogo alcuna competenza specifica in materia), il mio discorso non perde di significato: finchè esiste una parola italiana idonea e corretta per esprimere un concetto, mi spieghi per quale valida ragione dovrei adoperarne una straniera? (per me il quesito è chiaramente pleonastico).
La tua domanda retorica finale mi risulta decisamente sgradevole, perche' messa in risposta al mio intervento sembra implicare che io abbia espresso qualcosa in contrario, cosa che non ho fatto. Se non era chiaro dal mio precedente commento su "
magazzino", ribadisco che sono piu' che d'accordo sul principio "
quando le parole italiane esistono e funzionano, usiamole". E posso credere che tu non avessi intenzione di togliere dignita' alla lingua inglese: e' il modo in cui ti eri espresso ("
una ricchezza e varietà di espressioni che gli anglofoni possono solo sognarsi!" ,
termini stranieri che, il più delle volte, hanno più significati proprio per sopperire alla modestia del loro vocabolario) che mi suonava (e mi suona tuttora, indipendentemente da quali fossero le tue intenzioni) poco rispettoso dell'idioma altrui.
Quanto al fatto che l'inglese
ha un vocabolario molto modesto, quantomeno di termini propri, c'e' da osservare che l'inglese nasce come una mistura di una lingua germanica e di una latina, cosa che potrebbe essere interpretata come un'estrema poverta' (quasi nessun termine suo proprio), oppure di grande ricchezza fin dalla nascita (ricordo vagamente qualche analisi sulla capacita' di Shakespeare di impregnare i discorsi scegliendo di volta in volta il termine latino o germanico). E mi vien quasi da sperare che uno che rimprovera l' "
anglicizzazione di termini stranieri importati a loro volta a causa della grande espansione coloniale e commerciale di quel popolo" si rifiuti di usare in italiano, ad esempio, la parola "ammiraglio" (importata dall'arabo).
Insomma: ad attaccare la lingua altrui per difendere la nostra, rischiamo di renderci ridicoli. E chiudiamola qui.
Non c'è bisogno di contaminare lingue e culture per conoscerle. Posso imparare l'inglese e leggere Shakespeare senza doverli per forza mescolare alla mia identità nativa.
Non mi sembra cosi' semplice. Se devi fare l'esempio di due innamorati dal destino tragico, tu prendi Piramo e Tisbe (
qui, 37-39) o Romeo e Giulietta? O decidi quale coppia usare a seconda della lingua in cui ti stai esprimendo? La contaminazione culturale mi sembra evitabile soltanto con la chiusura stagna del cervello di fronte a quasi tutto cio' che incontriamo (se, per dirla con un poeta
albionico, "
I am a part of all that I have met", mi aspetto che valga anche l'inclusione opposta).
Quanto alla contaminazione linguistica: posso leggere Shakespeare in inglese e continuare ad esprimermi in un purissimo italiano; ma di tanto in tanto, ricordando quanto stupendamente lo Scuotilancia aveva detto qualcosa, sono tentato di rendere la sua stessa espressione nel mio idioma, anche a costo di fargli violenza.
"stepchild adoption" usato al posto dell'italianissimo "adozione del figliastro"
Forse non l'esempio piu' felice. "Adoption" al posto di "adozione" e' esecrabile; ma rendere "stepchild" con "figliastro" puo' portare indesiderate connotazioni negative (non so se "stepchild" abbia queste connotazioni in inglese, ma agli italiani puo' suonare neutro, mentre la desinenza in "-astro" ha associazioni sgradevoli).
Infine: non so quanti di voi se ne siano accorti, ma un effetto della globalizzazione che trovo decisamente piacevole e' che da qualche anno nelle storie su
Topolino ambientate in estremo oriente i nomi dati ai personaggi suonano molto piu' credibili che in passato.