Ciao a tutti, riesumo un thread ormai fermo da due anni per collettivizzare un mio testo su “Storia e gloria della dinastia dei Paperi” intesa come il ciclo originale di otto storie, sperando di non dare noie a nessuno.
Inizierei partendo dall’importanza che rivestiva questo progetto, alla cui creazione collabora un poker di nomi formato da Guido Martina (soggetto e sceneggiatura), Romano Scarpa (matite), Giovan Battista Carpi (matite) e Giorgio Cavazzano (chine), tutti artisti che si erano già fatti un nome importante all’interno della Disney e che ora si ritrovavano insieme per dare vita a quella che all’epoca (1970) era un’esperienza ancora inedita. La presenza di Martina, d’altronde, rimarca la novità del progetto: a chi altri, se non a lui, assegnare il compito di portare avanti una saga di otto capitoli su sfondo storico, lui che si era presentato al pubblico con una parodia dantesca e aveva dato vita a uno degli eroi/antieroi più popolari del fumetto italiano? A sottolineare l’importanza del tutto vi è l’iniziativa collegata alle storie: per ognuna di essa sarebbe stata stampata e distribuita una moneta d’oro (medaglietta, per essere precisi) recante l’effige di uno dei personaggi via via presenti nelle singole avventure (cui sarebbero state dedicate anche le copertine dei libretti che le avrebbero [/pre]contenute, a rimarcare quanto fosse importante per Disney che questo progetto avesse un’adeguata risonanza).
1970 in Italia dunque, il ciclo donrosiano è ancora di là da venire e Barks non è che un debole richiamo (Klondike, alcune inquadrature o situazioni), e Martina si può muovere liberamente nella storia europea e americana, (ponendo le basi per una tradizione –più o meno contestata- specificatamente italiana, poi ripresa, infatti, da alcuni autori). La trama si muove in maniera decisamente rapida: l’esplorazione lunare da parte degli americani da notizia di alcune pietre colorate nonché di un rimbombo che sembra indicare una cavità sotterranea. Si scopre che Paperone è già stato sulla Luna (impressione di Barks?) a nascondere un tesoro segreto. Attimi di tensione durante il recupero, si scopre che il tesoro è un forziere contenente monete tramandate da generazioni all’interno della famiglia dei paperi. Al ritorno a terra la capsula viene intercettata dalla polizia che la crede aliena. Così, mentre i paperi stanno salendo sul gommone arrivato a recuperarli arrivano alcune motovedette, Paperino teme che siano i Bassotti e getta il baule in mare. Paperone viene portato in quarantena promettendo minacce e morte al nipote, mentre QQQ recuperano otto monete rimaste all’interno del modulo. Esse, se strofinate, permettono di viaggiare nel tempo e avere uno scorcio del periodo da cui provengono. Da lì partono i flashback che fanno viaggiare il lettore attraverso Egitto-Roma-Scozia-Spagna-Caraibi-Mississippi-Klondike, dove vediamo una serie di alter ego/antenati dei “nostri” paperi che si ritrovano ogni volta messi in difficoltà da situazioni sempre simili ma sempre diverse (e qui sta anche l’abilità di Martina, capace di riutilizzare certi meccanismi per dare un senso di continutià/inevitabilità, ma anche in grado di variarlo per metterne a frutto ogni volta lati diversi e interessanti, nonché per mantenere la suspence). I personaggi sono realmente alter ego, hanno gli stessi caratteri, difetti e qualità, hanno le stesse reazioni e rapporti tra di loro (tranne in qualche particolare eccezione). Persino il manuale delle GM ha una contestualizzazione storica di volta in volta. A firma di Martina vi è anche un Paperone particolarmente spietato, che non si fa problemi a farsi falsario, truffatore, ladro di volta in volta, mentre sullo sfondo alcune battute illuminanti passano quasi in sordina e mostrano, invece, il lato di insegnamento morale che da tali situazioni possono derivare.
Non mancano, certo, alcune incongruenze:
-i cognomi cambiano senza nessun criterio
-nella storia del Klondike quadno sulla monete che reca l’immagine di R compare il nome Rockerduck (cognome? Nome? Quien sabe?)
-nell’ottava e ultima storia tra le monete che compaiono sul tavolo vi è quella recante l’effige di Paperone astronauta, che non ha obbiettivamente ragione d’essere lì (almeno nella storia, in realtà si trattava di una “marchetta” per dare una panoramica della collezione completa).
Detto questo, a più di mezzo secolo dall’inizio dell’attività di Martina, sappiamo che la sua costruzione di trame era sicuramente lontana dai criteri che conosciamo/attuiamo oggi, e certe debolezze sono rimediate ampiamente dalla bellezza del tratto e del disegno. Sia Scarpa che Carpi (personalmente preferisco il secondo) si ritrovano a giocare le proprie migliori carte per dare il meglio di sé in questa prova, e in certi momenti particolarmente felici si riconosce quella funzionalità e scorrevolezza che mostra un meccanismo ben oliato, che altro non è se non la collaborazione tra grandi, tra talentuosi già abituati ad un lavoro di squadra.
Dopo questa breve premessa passo all’esame singolo delle sette storie che costituiscono la parte flashback della saga.
-Paperina e i papiri del Pah-Peh-Rheo (Egitto)
La prima storia parte dalla moneta d’oro di Cleopatperina, faraona d’Egitto. Paperone è Pah-Peh-Rheo, tesoriere di corte, i nipoti hanno i soliti ruoli. Vediamo una carovana di cammelli (camuffati) portare 1.000 sacchi , contenenti il tesoro di corte. Vediamo comparire Arkimedes Pitagorikon (di cui scopriamo aver prodotto specchi ustori durante le guerre puniche, cosa che ci permette di piazzare la storia tra il 212 A.C. (anno dell’assedio di Siracusa durante la seconda guerra punica) e il 30 A.C. (fine del regno di Cleopatra, iniziato nel 51 A.C.) e il regno di Cleopatra (per quanto sia dubbio penso Martina abbia usato il nome Cleopatperina per dare un’idea di familiarità al lettore, in quanto le due date sono inconciliabili). Risaltano nella storia alcune trovate brillanti a livello stilistico (la tavola pitagorica usata come vero e proprio tavolo, che “risolve tutti i problemi” e infatti viene usata come mezzo di fuga) e un gergo colorito, per quanto tenuto relativamente sotto controllo. Alla fine i paperi decidono di emigrare, con la chiusa amara di Paperone “non sapete che quando le cose si mettono male bisogna trasferire i capitali all’estero?”. Piccolo bloopers: nel cesto di frutta che viene portato come dono alla faraona compare un ananas, introdotto in Europa da Colombo più di un millennio dopo!
-Petronius Paperonius e i sesterzi di Pippus Augustus (Roma imperiale)
Il volume dell’opera omnia di Scarpa fa, nella presentazione della storia, un errore parlando di un salto temporale dal VI secolo A.C. al I secolo D.C. tra l’Egitto e Roma. Come illustrato, invece, nel paragrafo precedente, il salto temporale sicuramente c’è ma è, casomai, tra il III secolo A.C. e una imprecisata età imperiale, collocabile, questa sì, forse all’interno del I secolo D.C.. In questo può aiutare il discorso di Caius Julius Caesar Pippus Augustus (quale è il nome integrale riportato): egli, infatti, afferma che gli è necessario conquistare qualche nuova terra (come gli altri Cesari) e decide di puntare alla conquista della Caledonia, la cui fallita conquista avverrà tra gli anni ’50 e ’70 del I secolo D.C.. A confondere ulteriormente le carte vi è l’accenno al Colosseo (la cui costruzione iniziò nel 70 D.C. sotto Vespasiano). Ciò detto, la spina sta che non vi è un cambiamento di personaggi: i protagonisti sono gli stessi che sono emigrati dall’Egitto, denunciando quindi una decisa longevità! Gli elementi della storia sono decisamente brillanti: i malviventi (Bassotti-Gambadilegno-Rockerduck) si coalizzano per grassare i paperi, ma gli unici in buona fede sono i primi, in quanto Gambadilegno progetta una truffa per privarli della loro quota, e Rockerduck prospetta di mettere le mani su tutto il bottino. In questi cerchi concentrici di malaffare, troviamo anche Paperone che non si è fatto scrupoli a falsare le monete d’oro egiziane in nuovi sesterzi romani di maggior valore (“Ecco in che modo si arricchiscono certi finanzieri”) né a servire acqua sporca al posto del vino. Altro elemento di comicità estremamente brillante è l’utilizzo di un mix di latino e romanesco che si mescolano con sagacia, sottolineando quello che potremmo definire come un gusto dell’assurdo estremamente serio. Il lavoro di Carpi, tra l’altro, ci restituisce bellissimi sfondi.
-Paperon McPaperon e le sterline di Trisnonna Papera (Scozia medievale)
Qui abbiamo un cambio drastico dal punto di vista temporale. Pah-Peh-Rheo ha infatti seguito le truppe romane per recuperare il suo tesoro (requisito dall’imperatore) e attratto dalle prospettive di arricchimento. L’episodio si apre con un rapido flashback che permette di sapere della fine di Pippus, per poi portarci nel cuore dell’avventura, che ci mostra proprio un monumento alla memoria dell’egiziano nel centro di Edimburgo, meritevole per aver insegnato la parsimonia agli scozzesi. Ritroviamo anche un erede di Rockerduck che vuole rovinare Paperone esclusivamente per motivi d’orgoglio famigliare (e promette infatti ai Bassotti tutto il tesoro nel caso riuscissero a recuperarlo). Anche qui l’umorismo è brillante: il servizio postale funziona male in quanto i postini sono pagati un giorno al mese (e di conseguenza un giorno al mese lavorano), Paperino da prova di coraggio lanciandosi verso il lago che lo terrorizza (con una citazione ante literam da Fantozzi, nato nel 1968). Tutto gira intorno all’apparizione del fantasma dell’avo, che indichi quale sia il nascondiglio del suo tesoro (si scoprirà che, infatti, Paperone come “appaltatore unico” della zecca reale non si è fatto problemi a coniare sterline di piombo per avere più ampi margini di guadagno) per procurarselo ed emigrare verso più caldi lidi. Il meccanismo di scoperta del tesoro è, in realtà, carente: seguire il fantasma, vederlo tuffarsi in una vasca d’oro e poi scoprire, con una testata, che il tesoro è nascosto tra le crepe dei pietroni del muro? Non si capisce bene come siano occultati né come escano.
-Paperin de la Scalogna e il re dell’arena (Spagna tardo medievale)
Altro salto temporale ed eccoci nella Spagna di fine XV secolo. Qui compare per la prima e unica volta Gastone, come avversario d’amore di Paperino. La sequenza della serenata è, a mio parere, una delle meglio riuscite di tutta la saga, con un umorismo che vira dallo slapstick al puro paradossale. Il protagonista qui è Paperino, che si ritrova incastrato in una corrida truccata con un toro mansueto (sostituito all’ultimo dal maligno cugino) e che, grazie ad un’improvvida fortuna, si ritrova vincitore seppur nella sconfitta. Grazie ad un ultraclassico inseguimento Zio furioso-nipote si entra nell’argomento che permette il successivo salto temporale. Isabella di Castiglia (qui Minnibella) li esorta a non rovinare il mappamondo donatole da Colombo (e qui vediamo emergere quel gusto per il paradossale: “In questo punto il genovese Colombo scoprirà una terra che, chissà per quale motivo, sarà poi chiamata America” è l’assurda dichiarazione di Minni). La trama in generale è più tagliata a pezzoni per darle un ritmo secco, ma di per sé i vari segmenti sono assai validi a livello stilistico. Vediamo, comunque, nell’ultima tavola, i paperi prendere il mare in direzione del nuovo mondo.
-Paperino e il fuorilegge di Pensacola (Caraibi)
Il quinto episodio è ambientato al tramonto dell’epoca d’oro della filibusta, con Paperino che è riuscito addirittura a divenire pericolo pubblico, con una taglia sulla testa e una poderosa reputazione alle spalle. Per ragioni di semplicità è, purtroppo, una situazione che ci viene data confezionata piuttosto che espressa nel corso della storia, ma sicuramente rappresenta una robusta rete per lo sviluppo dell’avventura. Apprendiamo così che Paperino era riuscito a scacciare i francesi dalla Florida, si era autoproclamato re e aveva battuto moneta per suo conto, prima di essere sconfitto dagli spagnoli. La cronologia qui è abbastanza semplice perché l’avventura è ambientata a Pensacola e il riferimento alla cacciata dei francesi dalla città è datata con precisione al 1726. Tutto questo è concentrato nella tavola d’inizio, in quanto tutto si sviluppa proprio dalla sconfitta dell’ormai spodestato re, che cerca rifugio e salvezza presso Paperone, che in quest’ambito si è dato al commercio di tabacco ed è messo in difficoltà dal contrabbando. Messo alla porta dallo zio, che ammette che non potrebbe resistere a lungo all’idea di riscuotere la taglia che pende sul nipote, Paperino è costretto a darsi alla fuga nelle Everglades, dove cade in mano dei bassotti, filibustieri al servizio di Rockerduck, ammiraglio della flotta spagnola e responsabile del contrabbando. Catturato, dunque, Paperino riesce a cavarsela (forzando un po’ la mano ai meccanismi narrativi) in quanto i nipotini esortano il governatore a perquisire la nave di Rockerduck, che è costretto ad ammettere la sua colpevolezza. Restando comunque un criminale ricercato, la pena del filibustiere mascherato è prorogata di otto giorni, per permettergli di scappare. Anche qui vediamo un leggero sforzo a livello di trama, probabilmente per evitare di dilungarsi eccessivamente in evasioni o altre trovate, ma la complicità del governatore è un espediente scenico troppo semplicistico, indegno di Martina. Detto questo, i paperi sono comunque in fuga e decidono di emigrare. La trama è la più veloce, insieme a quella del Klondike, e si concentra più sull’azione che sulle trovate stilistiche degli altri episodi.
-Zio Paperone e i cannoni del Mississippi (USA ottocenteschi)
Qui la cronologizzazione si fa abbastanza semplice: ritroviamo i paperi sul Mississippi durante una battaglia tra unionisti e confederati, e la didascalia data con precisione il 1861, anno d’inizio della guerra civile. Il battello su cui viaggiano (ripreso da Barks) è carico di cotone, e Paperone deve rispondere alla necessità di evitare l’affondamento ma anche e soprattutto di non incappare nei bassotti agli ordini di Rockerduck, anche qui mosso da volontà di vendetta più che di arricchimento personale. Si scoprirà, infatti, che durante la corsa all’oro in California di una decina di anni prima (qui Martina non si confonde) Paperone non si era fatto scrupolo a rubare una tonnellata d’oro a Rockerduck, così come non si fa problemi sul momento quando scopre una miniera abbandonata, sempre di proprietà dell’avversario, e ne approfitta per scavare un quintale di platino. Oltre a tutto ciò cerca anche di rubare un mulo per il trasporto del minerale dal campo dei sudisti, in cui, a sorpresa troviamo Pippo e Topolino (nonostante storicamente in occidente siano passati come i “cattivi” della guerra). Il tratto di Scarpa ben s’accompagna a questa peregrinazione che pare senza capo né coda, funestata dall’avidità di Paperone, qui ritratto come il prototipo dello spietato capitalista ottocentesco, che non si fa problemi ad affamare i sottoposti, a sfruttare i minori, a rubare e grassare ovunque ve ne sia la possibilità, tanto che si premura d’informarsi su chi vincerà la guerra, asserendo che bisogna sempre pensare al “poi” in certe situazioni.
-Zio Paperone e l’oro del Klondike (Klondike fine ottocento)
Ultimo salto, questa volta non giustificato se non per il fatto che la storia è ambientata durante la corsa all’oro in Alaska, e qui troviamo, guidato dal fiuto per buoni affari, il figlio del Paperone dell’episodio precedente. Anche lui truffatore (vende infatti cani e slitte addestrate a tornare indietro, in modo da poter essere rivenduti), viene scoperto da Rockerduck (figli anche lui del Rockerduck del capitolo del Mississippi) in cerca di vendetta assolutamente legittima per gli imbrogli subiti dagli avi. Anche qui la storia prosegue un po’ a strattoni, giocata sull’equivoco verbale e con una conclusione leggermente drastica. A seguito di alcuni rivolgimenti vediamo dunque la nascita dei “veri” Paperone e Rockerduck, che si rivelano, nell’ottica martiniana, oriundi dell’Alaska e coetanei. Questo episodio è stato tra i più criticati della saga, in quanto va a porsi in contrapposizione sia alla tradizione barksiana (e dunque a quella donrosiana) in un’ottica decisamente più semplice e “casalinga” rispetto alla complessità della costruzione più realistica dell’uomo dei paperi.
Quella che emerge è una storia decisamente poco lusinghiera ma perfettamente coerente con la visione martiniana dell’affarista di Paperopoli. In realtà, certi eccessi ed esagerazioni tipiche del professore sono state limate, probabilmente per rendere quella che era un’opera innovativa e corposa più lineare, scorrevole potabile. Si tratta comunque di 275 tavole collegate tra di loro da un’umorismo, personaggi e meccanismi ricorrenti, rinfrescati, come già detto, da un’inventiva sempre nuova.
Ovviamente questo non vuole essere un'analisi complessiva di un lavoro che comprese tre delle superstar della Disney italia, ma un mio modesto contributo all'approccio a questo tipo di lavoro (ho dovuto tagliare alcune parti di analisi per criteri di leggibilità)