Topolino 2905

27 LUG 2011
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Il 2905 era un numero atteso per diversi motivi: la conclusione della saga di Vitaliano, la prima vera prova di Gagnor con il personaggio di Dinamite Bla e una storia con protagonista Macchia Nera ad opera del duo Radice/Turconi, tra i più amati nel gruppo degli autori attualmente all’opera sul settimanale.
Per prima cosa è giusto dare spazio alla conclusione delle cronache dal pianeta T (è però prevista un’appendice nel prossimo futuro), essendo finalmente possibile dare un giudizio all’opera nel suo insieme. Sicuramente il progetto presentava dei punti di forza, in particolare durante la lettura del prologo pubblicato qualche tempo fa, che facevano immaginare un lavoro di primissimo livello ma alla fine non tutto sembra essere andato come avrebbe dovuto. Dire ora cosa possa essere successo per determinare un così progressivo ‘sgonfiamento’ della storia è impossibile agli esterni; si può però individuare cosa, nell’economia dello svolgimento, non ha funzionato e cosa invece è stato meritevole. Cominciamo dagli aspetti positivi: la voglia dell’autore di fare qualcosa che lasciasse il segno, qualcosa di importante, è palese in ogni sequenza. Vitaliano costruisce la sua piccola dimensione parallela all’interno del mondo disney, la sua personale mitologia tillanica, con un’attenzione maniacale per dargli il più possibile una sensazione di concretezza e di realtà. La trama è, almeno nelle prime puntate, ricca di riferimenti sociali, di spunti critici non scontati e c’è tutto per sperare che i personaggi siano ben caratterizzati. Poi però succede qualcosa, la storia improvvisamente sembra quasi accusare la parentesi di alcuni mesi di inattività (non c’entra nulla, è ovvio, ma l’impressione è proprio quella) e riparte senza vigore, con un ritmo lento, con episodi che sembrano “estranei” alla storia stessa, quasi a volerla allugare più del dovuto; a tratti, in particolare nel finale, è abbastanza confusa. Soprattutto molti personaggi si banalizzano, di più, scompaiono: Pippo, Orazio, Minni, Basettoni fanno solo numero e poco più e Gambadilegno, dopo una buona partenza, ridiventa in breve il bonaccione degli ultimi venti anni. Si percepisce anche un’atmosfera troppo ‘seria’, intentendo che manca quel tocco di ironia/sdrammatizzazione che serve a ricordare al lettore, anche inconsciamente, che ha davanti un fumetto Disney. Le classiche battute a metà tra il sarcastico e lo strampalato tipiche dell’autore avrebbero probabilmente dovuto assolvere a questa funzione, ma sembrano più che altro stridere nel contrasto col resto della storia. In definitiva una operazione riuscita a metà: leggendo la didascalia conclusiva si può anche capire come a Vitaliano forse, più che sorprendere con un finale ad effetto (inquinato infatti da uno spiegone in puro stile bonelli), importasse di più raccontare una bella storia: peccato che non tutto abbia ‘quagliato’ alla perfezione, comunque è giusto apprezzare il coraggio di chi ha saputo mettersi in gioco in maniera pesante, perchè non è da tutti. Una nota sui disegni di Sciarrone: belli gli sfondi, bellissimi i colori, ma la resa dei personaggi a volte è davvero deficitaria e non c’è scenario spettacolare che possa compensare una testa di topolino disegnata letteralmente (e ripetutamente) con tre cerchi perfettamente tondi!
Sulla storia di Dinamite bla non c’è molto da dire, comicità di pancia (dita nel naso e melanzane) e ottimi disegni di Freccero che contribuiscono prepotentemente all’effetto umoristico. Vitaliano ha costruito nel tempo un microcosmo quasi autosufficiente intorno al vecchio bisbetico (gli altri personaggi della banda dei paperi fungono ormai solo da spunto o da comparsa) con ottimi risvolti satirici, questa di Gagnor invece è più una storia di alleggerimento, ma nel complesso delle avventure del simpatico hillibilly ci può stare.
Pregevole il lavoro della coppia Radice/Turconi, che mescola con sapienza realtà e finzione (gli scacchi di Lewis sono realmente uno dei misteri archelogici insoluti e chissà che il John Belzon menzionato non sia ispirato al vero egittologo John Wilson*) e mette in scena un Macchia Nera convincente, e anzi a suo agio, nei panni del dandy londinese (un po’ meno negli obiettivi, un ‘misero’ tesoro archeologico, lui abituato a far tremare il mondo!). Ottima anche la scelta di svecchiare un po’ il look di Topolino e Minni con un tocco civettuolo ma non stravagante (e finalmente i personaggi si cambiano il vestito durante una stessa storia! Non portano gli stessi abiti per giorni e giorni!).
Il numero è chiuso da una simpatica straniera ad opera dei coniugi MacGreal e disegnata da Andersen, Zio Paperone e lo sfuggente bufalo inverso: echeggiano richiami dello skirillione barksiano e non è certo sorprendente nello svolgimento, ad ogni accadimento è facile intuire quale sarà il successivo, però scorre bene, diverte e i disegni di Andersen, seppur meno personali e un po’ involuti rispetto ad altre storie pubblicate sul settimanale, hanno sempre il classico taglio isterico che diverte.
Riguardo i contenuti delle rubriche e dei redazionali, nulla da segnalare, se non la pubblicazione abbastanza gratuita della rivisitazione dell’albero genealogico di Don Rosa uniformato alla nuova grafica del settimanale: un motivo vero per riprodurlo non c’era, la leggibilità è pessima (per uno che non le conosce già, non è immediato ricostruire le parentele non essendo disegnati i rami dell’albero e dovendo basarsi sui colori) e vengono descritti, nelle pagine successive, solo alcuni personaggi, probabilmente scelti a caso: c’è la scheda di Paperoga, di Gastone, di Qui Quo Qua e non di Paperino!
Il resto del numero è abbastanza dimenticabile anche se le storie avrebbero offerto, come già in passato, buoni spunti per degli articoli di approfondimento (per quello che è possibile approfondire in un settimanale pensato per un pubblico così giovane, ovviamente).
Nel complesso un uscita non memorabile come ci poteva aspettare, ma comunque sufficiente.

*Errata corrige: il personaggio di Belzon è sì ispirato ad un vero egittologo ma non si tratta di John Wilson bensì di Giovanni Belzoni

Autore dell'articolo: Gianni Santarelli

Abruzzese, ingegnere elettronico riconvertito in quel che serve al momento. Il mio rapporto con i fumetti segue tutta la trafila: comincio a cinque anni con le buste risparmio della Bianconi (sovvenzionato da mia zia), poi Disney, i supereroi Corno, i Bonelli (praticamente tutti, anche se abbandonati man mano). Verso i 18 anni scopro le riviste della Comic Art, leggo "Stray toaster" di Sienkiewicz e inizio un giro del mondo fumettistico che ancora non termina. Fumetto franco-belga, argentino, americano, autori celebri e sconosciuti, tutto finisce nella mia biblioteca, molto aspetta ancora di essere letto, nel frattempo dilapido una fortuna. Su due cose sono profondamente ignorante: i supereroi "classici" (ad eccezione di Batman, per cui ho una venerazione, non leggo una storia dell'uomo ragno & c. dagli anni 80) e il fumetto giapponese. Per il Papersera, con il nick "piccolobush", collaboro all'annuale premio, scrivo qualche articolo quando necessario e mi occupo, con puntuale ritardo, del settimanale "Topolino"