Topolino 3094

11 MAR 2015
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Ancora un numero atteso da molti il 3094 e i motivi sono più che validi: la prima puntata de “L'isola del tesoro”, opera di una delle coppie Disney più apprezzate, quella formata da Teresa Radice e Stefano Turconi e “Dylan Top”, ispirata ovviamente alla serie dell'indagatore dell'incubo, per cui sono scesi in campo quattro pezzi da novanta del fumetto, tra cui nientemeno che l'ideatore originale della serie e l'attuale curatore.

Bisogna dire che si è di fronte a due lavori assai diversi, sia per le motivazioni alla base che per il risultato finale.

“L'isola del tesoro” è divisa in tre parti, per cui al momento è possibile dare solo un giudizio parziale ma indubbiamente sembra di essere davanti ad un lavoro ottimo. E' anche vero che si parte da una base eccellente, uno dei più classici romanzi per ragazzi (ma non solo) che ha definito più di un canone della narrativa avventurosa. Ottima la composizione del cast, i vari abbinamenti sono quasi naturali, con la felice intuizione di Plottigat nel ruolo di un credibilissimo Billy Bones e la scelta, di fatto dovuta, di Gambadilegno quale interprete di Long John Silver. Sarà interessante vedere se anche nella versione dei Turconi, questo personaggio manterrà quella sua ambiguità, a metà tra il buono e il cattivo, che è la forza del suo fascino.

Come detto, e senza nulla togliere al lavoro della sceneggiatrice, è una storia che funziona meravigliosamente di suo, basta solo raccontarla e intervenire qui e lì dove necessario per smussare alcune cose incompatibili con la politica dell'editore. Certo da un po' da pensare il fatto che il libro che è quasi il simbolo della letteratura per ragazzi da più di un secolo, contenga elementi che la Disney non può accettare nelle sue pubblicazioni, ma qua si entra in un territorio minato: meglio limitarsi a notare la fin troppo bislacca motivazione della scomparsa di Plottygatt/Bones che stride un po' con i toni della vicenda e la tristezza che mette sentire (o vedere, che dir si voglia) un branco di feroci pirati inneggiare ad un bollitore di tè.

Per quel che riguarda i disegni, non è esagerato definire Turconi un fuoriclasse: i suoi lavori sembrano quasi delle animazioni, ti aspetti da un momento all'altro che prendano vita da soli e comincino a muoversi tra le pagine. Restiamo in attesa delle successive puntate per confermare l'ottima impressione avuta.
“Dylan Top” invece lascia decisamente perplessi: chi si aspettava una vera parodia rimarrà deluso e non è facile condividere le impressioni di Lupoi che ha parlato di “storia di una bellezza commovente”, a meno di non mettersi d'accordo sul significato di commovente. In effetti a ben guardare manca anche la storia, è più una riproposizione in versione disneyana dei tanti clichè dylandoghiani messi in sequenza, uno dietro l'altro, ma senza una vera ragione. Forse lo si può definire più un omaggio che una parodia: anche l'idea di base, rivendicata con orgoglio da Recchioni, per quanto labile, alla fine non viene utilizzata in maniera convincente, al punto che il messaggio che forse (e sottolineiamo forse) voleva dare, arriva molto attutito. Sicuramente la cosa più riuscita è Pippo/Groucho e a rifletterci bene, più che ad un albo della serie regolare, questa storia sembra quasi fare il verso ai “grouchini” allegati agli speciali fino a qualche anno fa, a cominciare dall'assurdità dei casi presentati, fino alle inesauribili gag verbali dell'assistente.
Insomma una storia che rientra nel progetto di rilancio della testata bonelliana e il cui scopo è far parlare di Dylan Dog piuttosto che attirare lettori su Topolino. Chi è digiuno delle avventure dell'Indagatore dell'Incubo, infatti, non coglierà le varie citazioni, nè sarà particolarmente attratto dalla vicenda, gli unici a “gioirne” saranno esclusivamente i lettori del vero Dylan. Se ci sarà un seguito al momento non è dato saperlo, ma in caso, ci sarà bisogno di ripensare completamente l'operazione, perchè così come è stata concepita, è una semplice strizzata d'occhio al suo corrispettivo bonelliano.

Il resto del numero passa forzatamente in secondo piano e c'è anche chi ci mette di suo per ottenere tale risultato.
Se la storia di Bosco con Pico e Paperoga è una simpatica riempitiva, e “Dinamite Bla in: Fulmini e melanzane” comunque qualche risata la strappa, “Paperino e il popolo del sole” spreca malamente le sue 30 tavole: una storia che si trascina senza che accada nulla, una tavola dietro l'altra, con una una perenne sensazione di già visto ma soprattutto di noia.

Senza voler mancare di rispetto alla professionalità dell'autore, che non è minimamente in discussione, sembra una di quelle storie scritte col pilota automatico. Non è una colpa scrivere una storia così, ma non è una colpa neanche farlo notare.

L'apparato redazionale risulta ovviamente ricco con gli articoli sulle due storie principali, completati dalle belle interviste ai Turconi e a Tiziano Sclavi.

Autore dell'articolo: Gianni Santarelli

Abruzzese, ingegnere elettronico riconvertito in quel che serve al momento. Il mio rapporto con i fumetti segue tutta la trafila: comincio a cinque anni con le buste risparmio della Bianconi (sovvenzionato da mia zia), poi Disney, i supereroi Corno, i Bonelli (praticamente tutti, anche se abbandonati man mano). Verso i 18 anni scopro le riviste della Comic Art, leggo "Stray toaster" di Sienkiewicz e inizio un giro del mondo fumettistico che ancora non termina. Fumetto franco-belga, argentino, americano, autori celebri e sconosciuti, tutto finisce nella mia biblioteca, molto aspetta ancora di essere letto, nel frattempo dilapido una fortuna. Su due cose sono profondamente ignorante: i supereroi "classici" (ad eccezione di Batman, per cui ho una venerazione, non leggo una storia dell'uomo ragno & c. dagli anni 80) e il fumetto giapponese. Per il Papersera, con il nick "piccolobush", collaboro all'annuale premio, scrivo qualche articolo quando necessario e mi occupo, con puntuale ritardo, del settimanale "Topolino"