Topolino 3331
Finisce finalmente in questo numero la saga di Young Donald Duck. Questo ultimo episodio, che a vedere il finale sembra tutto tranne che ultimo, è un po’ la summa di tutto quello che questa narrazione ci ha portato in queste otto settimane: una sit com dai ritmi blandi e sconclusionati, con trovate del tutto fini a loro stesse e dagli sviluppi (quando ci sono stati) indipendenti tra loro e senza alcuna convergenza comune, se non quella di snaturare completamente i personaggi rappresentati. Se doveva essere una saga che festeggiasse il compleanno di Paperino indirizzata alle nuove generazioni, più avvezze (dicono) a questo stile di umorismo, io spero che ne sia almeno valsa la pena, perché credo che per chiunque abbia più di dodici anni (ma facciamo pure quindici, va’!) quanto letto sia stato a dir poco inutile, se non irritante.
Inutile perché a conti fatti la “trama” si conclude con un nulla di fatto epocale: otto settimane di frizzi e lazzi per poi, dopo una chiusura che senza una macchina del tempo non sarebbe fisicamente possibile, ecco che dal nulla, senza un perché “è il momento di tornare a Paperopoli”.
Irritante perché un Paperino così odioso e insopportabile credo non si sia mai visto neanche nei primi corti di 85 anni fa, e sì che già lì era abbastanza malandrino.
Archiviato (si spera per sempre) questo capitolo, si ritorna nella dimensione più classica del Topolino, con una storia preannunciata in pompa magna già da alcune settimane: un Massimo De Vita autore completo non è roba che si vede tutti i giorni.
Peccato che se i risultati sono come questi presentati questa settimana, forse è meglio non vederli sul serio.
Non per i disegni, che sono sempre un bel vedere, ma la trama di Indiana Pipps e il falso pianeta è a metà tra l’inconcludente e l’assurdo. Si parte da una motivazione irrisoria, mai spiegata e soprattutto mai completata, neanche dopo la spiegazioncina finale, per poi leggere, nel mezzo, trovate che sembrano partorite da Sgrizzo Papero, infilate invece in una trama che, da come viene presentata, di assurdo dovrebbe avere poco o nulla. E invece ecco ologrammi che svaniscono come li tocchi ma che divorano tangibilissime Negritas, calamite che deviano le colate laviche dei vulcani, fischi che spezzano le onde sonore dei gorghi invertendone la rotazione e un finale senza né capo né coda.
Si tratta evidentemente di una storia destinata ad un altro universo, uno dove le leggi della fisica hanno regole tutte proprie.
E pensare che si tratta dello stesso giornale che ultimamente si erge a paladino della scienza, con le storie a tema scientifico del ciclo Comics & Science (ricordate anche in una delle rubriche proprio questa settimana, tra l’altro, in occasione dell’imminente uscita del volume “La scienza raccontata da Topolino“, con tanto di prefazione di Piero Angela). Non si può non notare lo stridente controsenso tra i contenuti dell’albo e la pubblicità -progresso di poche pagine dopo.
Sembra promettere molto meglio, invece, Qui, Quo, Qua e il patto dei cugini (Panaro/Urbano), con una trama che sembra nascondere chissà quale mistero… per poi giungere ad una conclusione che smonta tutto. Come se il solo apparire del Gran Mogol bastasse a reggere in piedi una storia. Come se tre generali pluridecorati delle GM abbiano bisogno di una prestigiosa cerimonia di premiazione clandestina e nascosta a tutti.
Resta quindi una breve di Archimede (Zemelo/Rigano) e, in chiusura, una classica storia di Dinamite Bla, che farà felici gli amanti del genere, e dove anche qua troviamo degli escamotage al limite della realtà , che però sono almeno giustificati dalla cornice dissacrante e demenziale che permea le storie con protagonista il burbero contadino.
Cosa rimane ancora da salvare? Ah già , la copertina, almeno quella, è ottima!
28 SET 2019