Carl Barks, una cavalcata nella Storia (seconda parte)
Nella seconda parte della nostra disamina sull’interpretazione barksiana della Storia ci concentreremo in particolare sull’età contemporanea: se l’Ottocento rappresenta il secolo della nostalgia, il Novecento è invece il palcoscenico migliore per la satira. Daremo poi spazio anche alla peculiare attività pittorica di Barks, specialmente alla produzione extradisneyana.
L’Ottocento: la memoria di una Nazione
Il XIX secolo è stato un momento chiave per la formazione degli Stati Uniti, ma, prima di parlarne nello specifico, è bene aprire una brevissima parentesi sul XVII e il XVIII. In Barks la costruzione dell’identità statunitense passa attraverso alcuni elementi relativi alle immagini più iconiche dell’infanzia del suo Paese. In Paperino e il tacchino selvatico, ad esempio, il nostro cerca di procacciarsi il pranzo per il Thanksgiving Day andando a caccia vestito da padre pellegrino: si tratta “soltanto” di una sequela di ottime gag e non di un racconto sulla società del Seicento.
Ad eccezione di un noto flashback ambientato nel 1753, il Settecento, che culmina per l’identità americana nella Rivoluzione, in Barks si riduce essenzialmente a una dissacrante tavola autoconclusiva: «In questo punto George Washington scagliò un dollaro attraverso il fiume Potomac». Ben più impostato e retorico sarà semmai un quadro a olio realizzato nel 1976, July Fourth in Duckburg, in cui la cittadinanza assiste entusiasta alla tradizionale sfilata patriottica: Paperone, Paperino e Gastone appaiono depositari dello Spirit of ’76 in una rivisitazione di un celebre dipinto di Archibald Willard, Yankee Doodle (1876).
Ma arriviamo, per l’appunto, all’Ottocento.
Retorica a parte, la vera sostanza è altrove e riguarda la visione nostalgica che Barks utilizza per raccontare la giovinezza degli Stati Uniti. Non tanto il West, che comunque compare abbastanza spesso come ambientazione delle sue storie, quanto da un lato le imprese del giovane Paperone nella Land of Opportunity; dall’altro, invece, la commovente elegia apparecchiata in Paperino nel tempo che fu.
Qui riappare di nuovo l’elemento onirico e Paperino e i nipotini possono rivivere la Old California del 1848, divisa tra il definitivo declino dell’aristocrazia di origine spagnola – rimpianta come una sorta di società semplice e ideale –, e l’inizio della fine: la scoperta dell’oro è la chiave della corruzione dell’Eden californiano. Los Angeles è ancora un borgo minuscolo, ma sarà presto presa d’assalto dai cercatori e la legge del più forte prenderà il sopravvento senza troppi problemi: sono le origini, in Barks, del capitalismo. È una critica violentissima all’avidità come motore dell’espansione ottocentesca, ed è solo prodromica alla grande corsa all’oro nel gelido Nord.
Le conseguenze del progresso: il Grande Nord dei cercatori d’oro si è rammollito e si viaggia in aereo da una città all’altra
A questo punto eccoci a Paperone e alla nascita della sua leggenda. Barks ha la fortuna di far recitare un personaggio anziano che ha vissuto in diretta parte della storia d’America, contribuendo ampiamente ad alcuni dei suoi miti. Se i riferimenti all’epopea dei pionieri non mancano, si ricorre al ricordo, anch’esso nostalgico – ma in maniera diversa rispetto alla California ispanica –, del Fosso dell’Agonia Bianca, di Dawson, del duro lavoro con il quale Paperone si è forgiato e di altri particolari che mandano in visibilio i donrosiani.
Il giovane cercatore scozzese è già nella visione barksiana un esempio di homo faber fortunae suae: la società, ovviamente corrotta fino al midollo dalla ricchezza istantanea, non riesce a piegarlo o a distoglierlo dagli obiettivi. In questo senso la rincorsa al benessere per Paperone è mossa da un afflato quasi religioso, in controtendenza rispetto a un mondo che andava nella direzione opposta, verso un edonismo di facciata. Nella Stella del Polo è di nuovo un agente esterno a mettere in moto la cavalcata nei ricordi: prodigio della medicina, delle pillole per la memoria. Paperone ricorda, anche troppo, e compie a ritroso un “viaggio nel tempo” in compagnia degli immancabili nipoti: Skagway, Whitehorse e Dawson, ormai cambiate, sono delle città in declino in cui, sorpresa!, il dominus che possiede la linea aerea di collegamento è proprio il papero più ricco del mondo. La giovinezza di Paperone è dunque un capitolo chiuso, legato al ricordo, custode in questo caso della microstoria della nascita della sua fortuna pecuniaria, ma anche monito per la decadenza che è legata alla ricchezza.
Una ricchezza che, col passare degli anni, è diventata di proporzioni globali ed è stata fondata anche nel nome dei “sacrosanti” principi del colonialismo di fine Ottocento. La tribù di Matumbo, come vediamo in un ulteriore salto nel passato della vita di Paperone, ricorda ancora con sentimento di vendetta il raggiro del giovane rampante che con l’inganno aveva sottratto terreni considerati sacri e inviolabili da parte degli indigeni: una redditizia piantagione di chiodi di garofano vale molto di più di una sciocca e primitiva superstizione. Il progresso portato dall’uomo occidentale non può arrestarsi, il cuore di tenebra non conosce confini, nemmeno se appartiene a un papero con gli occhiali, qui ancora rappresentato come un simpatico furfante. In una sequenza particolare Paperone racconta ai nipoti il suo misfatto tropicale con divertita naturalezza mentre Paperino, in un’azione fondamentale per sdrammatizzare un discorso terribile, si misura l’altezza sul muro in preda al panico per via della magia tribale che lo ha intercettato.
Il Novecento: la satira sui conflitti
L’incubo della seconda guerra mondiale è ancora vivo nel momento in cui Barks sta per lasciare il lavoro di sceneggiatore per i cartoni animati, sostituendoli con i fumetti. È il 1942 e Pearl Harbor è viva attualità: gli Stati Uniti sono definitivamente entrati in guerra contro le potenze dell’Asse ai primi di dicembre 1941. Ancora all’interno degli studios, Barks realizza uno storyboard in coppia con Jack Hannah per il ciclo dei corti di Paperino sotto le armi: Madam XX, una storia di spionaggio rimasta solo sulla carta. Altri episodi di questa serie, scritti anche da Barks, vedranno invece la sala cinematografica, da Donald Gets Drafted a The Old Army Game.
Archiviata la collaborazione come autore del settore animazione, Barks sbarca dunque sulla carta stampata. Se da un lato la pionieristica Pluto salva la nave, una storia di cui firma la sceneggiatura insieme con Hannah e Nick George, fornisce un evidente riferimento al nemico (il cane di Topolino deve riuscire a sventare il sabotaggio di un incrociatore da parte di un molosso spia), dall’altro suggestioni dalla guerra ancora in corso tornano nella prima ten-pager realizzata da Barks per Walt Disney’s Comics and Stories: la trama di Paperino e i corvi ruota, con un sottotesto propagandistico, attorno alla realizzazione di un victory garden, costantemente saccheggiato e sabotato dai tre corvidi antagonisti (una figurazione dell’Asse Roma-Berlino-Tokyo?).
La guerra finisce e ogni cosa torna al suo posto
Il secondo conflitto mondiale è ormai alle spalle nel 1947, quando i paperi acquistano un aereo da guerra da un deposito di residuati bellici per la stratosferica cifra di $2.50: in Paperino in Vulcanovia, oltre a una feroce satira sugli irrequieti staterelli sudamericani, è evidente la critica alla scelleratezza del conflitto di alcuni anni prima, dato che il frutto dei milioni di dollari spesi per il finanziamento dell’aviazione militare è finito in svendita a “vantaggio” dell’uomo qualunque. In un altro momento e in tutt’altro contesto, invece, tra i rifiuti della discarica di Paperopoli compare una copia del Mein Kampf. L’ironia in questo caso è evidentissima.
Ma non si vive di solo passato: finita una guerra, è giusto che ne cominci un’altra. Con la divisione del mondo in aree di competenza influenzate dalle Potenze vincitrici si comincia a parlare di incubo atomico, senza alcuna tregua. Ed eccola, di nuovo, la satira barksiana applicata a tempi ed eventi storicamente significativi. Paperino e la bomba atomica è eloquente fin dal titolo. Il protagonista, appassionato di chimica come in una precedente avventura del 1944, pensa di essere riuscito a creare un ordigno bellico di pericolosità assoluta ed è braccato, come in ogni spy-story che si rispetti, da un sospettoso individuo che parla con accento russo, il Prof. Sleazy. La bomba, alla fine della breve avventura, scoppia e l’impatto è devastante: fa cadere istantaneamente i capelli, i paperopolesi pretendono di essere risarciti. Le immagini della devastazione di Hiroshima e Nagasaki sono ancora vive, la corsa all’arma totale nel contesto della Guerra fredda è reale, lo spionaggio è sempre di moda.
In questo senso, Paperino e le spie atomiche è una storia perfetta per capire la sensazione di angosciante sospetto generale nei primi anni Cinquanta. Il tema del doppio, il rischio di rimetterci le penne e le varie situazioni al cardiopalma si mescolano alla presenza, del tutto inedita e irripetibile, di esseri umani realistici e pericolosi, soprattutto la conturbante Madame Triple-X. È un enorme avvertimento ai lettori: “attenzione, qui la situazione non è affatto semplice da risolvere, la realtà è effettivamente così dura”. È Storia percepita, insomma, quella che fuoriesce da ogni vignetta di questa avventura particolarissima dei paperi in un Mediterraneo solo apparentemente vacanziero.
Tra la fine degli anni Cinquanta e i primi anni Sessanta la satira politica torna in maniera scoppiettante con un trittico di avventure in cui Paperopoli subisce la minaccia tangibile delle ingerenze brutopiane. Il riferimento all’Unione Sovietica è arcinoto, così come la caricatura di Chruščëv nei panni del console di Brutopia che intende accaparrarsi il prezioso bombastium in Zio Paperone e il tesoro sottozero. Barks è particolarmente schietto nel mettere a confronto il capitalismo americano e il felice socialismo sovietico, destinato a soccombere non tanto davanti alle disponibilità pecuniarie quanto alla diffusione dei lavandini nel proprio territorio.
Escludendo una seconda apparizione della Brutopia in Paperino danzatore a lungometraggio, con Zio Paperone e la palude del non ritorno l’identificazione del Paese nemico con l’Unione Sovietica sarà definitivamente chiarissima: il simbolo di quella dittatura è una chiara parodia della falce e martello.
Infine, siccome nel Novecento non si può stare senza conflitti devastanti, il Vietnam viene visualizzato nella tremenda guerra civile che attanaglia il regno dell’Unsteadystan, un prototipo del turbolento Sudest asiatico. La decolonizzazione è un processo ormai inarrestabile, ma le conseguenze negative, specialmente sulla stabilità dei paesi in via di transizione verso regimi autonomi, sono una minaccia reale e concreta. A fine carriera, ed è abbastanza significativo, Barks assume man mano toni più crepuscolari e, in questo caso, mostra per la prima volta uno scenario di guerra autentico: fucilazioni, bombardamenti, affondamenti, sono tutti elementi più unici che rari in una storia Disney. Naturalmente nessuno si fa del male, ma la crudezza di alcune scene lascia decisamente sorpresi. Il Maestro dell’Oregon è particolarmente esplicito riguardo le contraddizioni degli anni Sessanta che, se in Occidente si riducono alle mode più strampalate, dalle parrucche al pizzetto beatnik fino al turismo di massa e ai quiz televisivi, nel Terzo Mondo stanno seminando paura e devastazione.
A questo punto, sul sentiero della pensione, Barks conclude la sua cavalcata con due riflessioni profonde sul senso del tempo, sul rimpianto del passato, sul desiderio di immortalità. La contemporaneità viene messa da parte e si torna alle origini, nell’antico Medio Oriente di Re Paperone I. Nella sua ultima storia per Uncle Scrooge, disegnata da Tony Strobl, Barks riporta i suoi personaggi in un’atmosfera onirica che li fa vivere in panni altrui, di antenati vissuti nella Mesopotamia dell’età del bronzo. Il presente e il passato tornano a dialogare e, davanti al fallimento della propria esistenza prolungata per troppi secoli, l’anziano Khan Khan decide di darci un taglio, metafora nuda e cruda del ritiro dalle scene dello stesso Barks. È una profonda critica, molto amara, all’illusione che la vita non abbia fine.
Nel 1981, il processo si inverte. Barks scrive – su commissione – un soggetto per un racconto moraleggiante ma a lieto fine in cui Paperone cerca la ricetta per vivere il più a lungo possibile. Il titolo, che sembra una preghiera laica, la dice lunga: “Scendi piano, sabbia del tempo”. Possiamo dire che con questo ulteriore contributo, come al solito in qualche maniera critico dell’atteggiamento materialistico del ricco papero, Barks abbia di fatto esaurito quanto aveva da dire sul rapporto tra l’umanità, con le sue manie, e la Storia. Essa scorre e registra, implacabile. Eppure è, come abbiamo visto, un irrinunciabile motore dell’azione, la molla che dà senso all’esistenza.
Una postilla filosofale
Dopo tutto questo discorso in cui abbiamo visto quanto e come l’elemento storico abbia avuto fortuna nelle storie di Barks, possiamo prendere, a titolo di rapido esempio, una delle storie più famose pubblicate su Uncle Scrooge per rintracciare una sorta di metodo storiografico barksiano, quasi al confine con la ricerca vera e propria che impegna gli storici di professione. La prima parte di Zio Paperone e la pietra filosofale, infatti, è quasi un inno allo studio: il protagonista, nella prima tavola, è alle prese con la lettura attenta di antichi codici, ovviamente con l’obiettivo ultimo di rintracciare il leggendario manufatto capace di produrre oro dal vile metallo. Negli occhi di Paperone c’è però l’entusiasmo più puro del ricercatore, per certi aspetti quasi infantile: impossibile non immedesimarsi in quello sguardo come accaduto a chi scrive queste righe, che nella vita si guadagna da vivere studiando l’età medievale.
Il sacro fuoco che muove la ricerca storica… e la brama di tesori
Fonte dopo fonte, una tappa dietro l’altra, Paperone e i nipoti viaggiano nel tempo e nello spazio sulle tracce della pietra filosofale: nel 1110 un cavaliere crociato lasciò in pegno il mistico oggetto in un castello immerso nella Foresta Nera; la pietra finì successivamente a Roma, portata con sé da uno studioso desideroso di mostrarla all’imperatore (Enrico V di Franconia era effettivamente in Italia in quel periodo); alcuni pirati saraceni derubarono l’erudito tedesco a sud della Città Eterna e portarono la pietra in Sicilia; da qui salparono alla volta della Siria, destinazione Damasco, poi forse Baghdad, infine Creta. Nell’itinerario mediterraneo compiuto da Paperone e nipoti c’è, raffigurata su carta, quella che è un po’ la caccia al tesoro che gli storici fanno leggendo e interpretando le fonti che hanno a disposizione (le quali però non hanno il potere di tramutare alcunché in oro, nemmeno la polvere, ahinoi!).
E se i personaggi storici avessero avuto il becco?
Un discorso a parte, infine, è necessario per i dipinti a olio realizzati da Barks dopo il pensionamento, un’altra fonte preziosa che ci permette di vedere come il vecchio Carl abbia approcciato la materia storica anche al di fuori delle tavole a fumetti. In questo caso è interessante notare una certa dicotomia, che ricorda un po’ quanto detto a proposito di Paperino nel tempo che fu: in una parte di questa produzione pittorica abbiamo quadri in cui il colore è sapientemente mescolato alla nostalgia per tempi e paesaggi del passato. Altrove, invece, torna il gusto, antichissimo, per la caricatura, in alcuni casi opportunamente condita con elementi piccanti.
Un aspetto delle scorrerie vichinge che Barks non aveva ancora visualizzato
The Cool of Morning (1968), Yesterday’s Mansion (1968), Daughter of the Chief (1969), With All Their Possessions (1969), Coast Range Farm (1970) e What’s the Hurry? (1970) manifestano un evidente attaccamento alle radici in un’America rurale e pionieristica, per arrivare alla denuncia vera e propria delle tristi sorti dei nativi. Mondi quasi ancestrali che sono ormai un’ombra davanti al rampante sviluppo del XX secolo, all’egemonia americana sull’Occidente ma, soprattutto, al già evidente declino storico e sociale degli Stati Uniti degli anni Sessanta.
Pochi anni dopo, invece, Barks avrebbe ripreso il suo spiccato gusto per il farsesco in due serie di dipinti memorabili. Kings and Queens of Myth and Legend (1976-78) è una godibile galleria di vizi e stravizi di gente allega come Mida, Re Cole, Nettuno o raffigurazioni di persone ben più seriose come Beowulf e la Regina di Saba.
La serie di acquerelli dedicata alle Famous Figures of History as They Might Have Looked Had Their Genes Gotten Mixed with Waterfowl (1978-80) ha un titolo di suo già programmatico. San Giorgio, Attila, Ercole, Billy the Kid, Teddy Roosevelt, Davide e Golia, Buffalo Bill, Robin Hood, Sansone e Dalila, Calamity Jane, J. Hedgar Hoover, Barbanera, Adamo ed Eva, Sigfrido, Aiace, le belle ballerine del Klondike, i miti del West, William Kidd, Henry Morgan, Long Ben, lo sceicco d’Arabia e il califfo di Baghdad con le rispettive odalische seminude, Benjamin Franklin, i vichinghi, i trapper e i pionieri, addirittura le streghe di Salem: il caravanserraglio di famosi personaggi storici, mitologici e religiosi è un’assurda sequela di gag visive di un uomo che non avrebbe mai potuto rinunciare a buffe paperizzazioni, con l’unico scopo di ridere delle leggende che per secoli avevano fatto sognare o appassionare chissà quante generazioni. Barks dissacra la Storia dell’umanità (papera) fino all’ultimo.
Conclusione
Cosa si trae, dunque, da questa lunga cavalcata? Thomas Andrae, nel suo fondamentale Carl Barks il signore di Paperopoli. Zio Paperone e la critica della modernità (Genova 2009), pone molto l’accento sulla questione dell’antistoricismo dell’Uomo dei Paperi nei confronti del XX secolo. Sostanzialmente, da quello che abbiamo potuto vedere finora ripercorrendo la sua opera, emergono tre elementi tutto sommato complementari.
Oro, progresso e consumistica decadenza nella San Jacinto Valley
Da un lato Barks fu in qualche modo un nostalgico e di conseguenza un critico acuto del presente: la Old California rievocata nel 1951, al netto della sua posizione peculiare all’interno del corpus barksiano, ne è forse il simbolo più potente; dall’altro, ed è ciò che emerge maggiormente, la Storia è funzionale a ciò che Barks voleva raccontare: a contare davvero è la reazione dei paperi nei contesti più disparati, soprattutto quando la rievocazione del passato si fonde con il falso, l’illusorio. Ciò che viene raccontato, si pensi a Paperino e la sposa persiana, mescola l’occulto – quindi indimostrabile e non convincente, nel barkspensiero – con il sogno dell’esotismo e con l’irresistibile fascino, dal gusto decisamente letterario, del passato. In questo senso, l’antichità e il Medioevo sono una miniera d’oro, purché la finzione venga smascherata e ricondotta alla razionalità con sardonico sarcasmo. Infine, la Storia fornisce a Barks le armi per essere parodiata in diretta. Lo abbiamo visto con i conflitti del Novecento che, dalla Seconda Guerra Mondiale alla Guerra Fredda fino al Vietnam, hanno fatto da sfondo ad alcune storie chiave della produzione. Lo stesso di può dire della critica alla società dei consumi, spesso e volentieri decisamente corrosiva.
Si può parlare quindi di un atteggiamento antistoricista tout court? Non del tutto. In alcuni casi è evidente la necessità di ricorrere alla contestualizzazione dell’azione in contesti specifici, a favore di critica: le avventure in cui mette a confronto diretto il presunto progresso occidentale con i popoli del Terzo Mondo ne sono un esempio.
Ricerca, racconto, entusiasmo, scoperta… e il meglio deve ancora arrivare!
Nella caccia alla pietra filosofale, però, le tracce della Storia sono imprescindibili e non c’è critica alcuna, come abbiamo visto; per quanto sia ammantata di mitologia, Una cavalcata nella Storia si apre con una splendida quadrupla che riproduce un evento ben specifico; le avventure sulle tracce di manufatti vichinghi sono estremamente realistiche e Barks, in quel caso, alza la posta giocando a un livello più profondo con un personalissimo ragionamento sull’infatuazione per la ricchezza e sull’ubriacatura causata dalla brama di potere assoluto.
In conclusione, il Maestro dell’Oregon racconta le vicissitudini dei suoi personaggi calandoli in contesti coerenti nel tempo e nello spazio e la sua opera può essere oggi studiata come interpretazione anche storiografica della realtà, parodiata nei fumetti e nei dipinti. Marc Bloch, uno dei più grandi storici del XX secolo, nella sua Apologia della storia descrive tale disciplina come «scienza degli uomini nel tempo». Munendo gli uomini di becchi, zampe palmate e piume, Carl Barks, uno dei più grandi fumettisti di sempre, si trova in questo modo a concordare con la storiografia, forse del tutto inconsapevolmente: parla di paperi che agiscono nel tempo – nella contemporaneità, oppure guardando in prospettiva ad epoche passate – per elargire pagine di letteratura di ineguagliabile qualità.
28 AGO 2020