Glénat & Disney: Une mystérieuse mélodie, ou Comment Mickey rencontra Minnie di Cosey
Assieme a Lewis Trondheim e Régis Loisel, Bernard Cosendai, in arte Cosey, è senz’altro il nome più importante fra quelli contattati da Glénat per la sua collana antologica a tema Disney.
Svizzero ma attivo nel panorama franco-belga – d’altronde, per sua stessa ammissione, il suo paese natale non offre grandi prospettive “fumettistiche” –, Cosey si forma con un compatriota illustre, Derib, fra le altre cose autore del bellissimo western revisionista Buddy Longway. Esordisce nel 1975 sulla rivista Tintin, lanciando quella che a oggi è ancora la sua unica serie lunga, Jonathan: l’emozionante racconto di un suo alter ego, l’eponimo personaggio, e dei suoi vagabondaggi per il Tibet squassato dalla guerra con la Cina. Un fumetto dai toni intimisti e pieni di calore, che in parte risente del clima new age dell’epoca (ma che ha egualmente saputo evolversi e passare oltre), disegnato con una rara maestria che fonde le influenze deribiane e prattiane (il creatore di Corto Maltese è fra gli idoli di Cosey). A questo punto verrebbe il momento di consigliarlo ai lettori, ma c’è un problema non da poco: in italiano è stato pubblicato integralmente, purtroppo, solo negli ormai difficilmente rintracciabili ultimi numeri della Collana Avventura, allegata alla Gazzetta dello Sport nel corso del 2017. Misteri dell’editoria italica.
Dopo un decennio d’intensa attività, a metà degli anni Ottanta il Nostro smette per un po’ di raccontare le peripezie di Jonathan, e dà inizio alla sua lunga – prosegue tutt’ora – e fortunata stagione come “romanziere grafico”, realizzando un volume più bello dell’altro: dagli ormai celeberrimi Alla ricerca di Peter Pan e Il viaggio in Italia (pubblicati in Italia una decina d’anni fa da Planeta De Agostini, in volumi, di nuovo, di non agilissima reperibilità), allo sperimentale Saigon-Hanoi (in Italia apparso su Ken Parker Magazine negli anni Novanta); sempre tenendo come punti fermi le caratteristiche già di Jonathan, le cui avventure del resto riprende a narrare, sia pure con cadenza meno serrata degli esordi.
Con queste premesse potrebbe sembrare che Cosey sia una figura assai lontana dalla sensibilità del fumetto disneyano classico. L’autore però ha sempre nutrito e dimostrato fattualmente una grande nostalgia per le letture infantili: non solo i classici della BéDé franco-belga, ma anche quelli Disney. Un paio di suoi lavori almeno (parliamo del sedicesimo volume Jonathan, e del racconto breve Sur l’île, leggibile nell’antologia Une maison de Frank L. Wright) contengono bellissime scene in cui, è palese, Cosey mette in scena, a distanza di tanti anni, la sua stupefazione – certo, filtrandola attraverso personaggi fittizi – per le sue prime scoperte fumettistiche.
Topolino e Pippo secondo Cosey
La nostalgia – o forse la malinconia – è anche al centro di Une mystérieuse mélodie, il suo contributo alla collana di Glénat, uscito nel 2016 e pubblicato anche in Italia nello stesso anno con il titolo Una misteriosa melodia.
Cosey immagina un Topolino che lavora come sceneggiatore hollywoodiano per i primi cartoon di massa – con protagonista non sé stesso, come ci si attenderebbe, ma Pluto. I gusti del pubblico però cambiano rapidamente (è l’epoca fra l’altro in cui viene introdotto il sonoro, come ricorda una sequenza della storia), e il suo “big boss” – le cui fattezze ricalcano quelle di Manetta – gli chiede trame più complesse e drammatiche. Un manoscritto inedito di Shakespeare (!) scoperto da Pippo (!!) potrebbe fornirgli qualche spunto, ma a causa di un malinteso scompare nel corso di un viaggio in treno. Potrebbe essere coinvolta la misteriosa signorina seduta vicino a Topolino, il cui volto il Nostro non è riuscito a vedere, e che cantava una misteriosa canzoncina…
Cosey cerca di recuperare il gusto dei cartoon e dei fumetti disneyani delle origini, coniugandolo con le sue propensioni per la semplicità degli intrecci e la purezza delle emozioni. Il risultato è un fumetto genuinamente suo. Nonostante infatti adotti tutti gli intenti mimetici (ci sono persino sezioni retinate in Ben-Day dots), si può dire che Cosey “fallisca” l’obiettivo: non abbiamo mai letto davvero storie scritte così, nell’opera degli autori d’antan. E per fortuna, perché in questo modo viene rispettato alla perfezione lo spirito dell’iniziativa francese, ovvero una reinterpretazione personale dei canoni disneyani.
Dal punto di vista grafico, il volume si mantiene sugli standard a cui l’autore ha abituato negli ultimi anni i suoi lettori (diciamo a partire dall’inizio del Duemila), con una sintesi del tratto efficacissima, corroborata da un’inchiostrazione molto spessa. L’impressione è quella di un disegno molto “semplice”, ma chi conosce Cosey sa che questa eleganza è stata raggiunta molto lentamente nel corso del tempo, ed è frutto di un pensiero calcolato e tutt’altro che blando. I personaggi sono interpretati con grande fedeltà dal fumettista, che riesce a delinearne alla perfezione le espressioni. Sui colori non c’è molto da dire: Cosey è uno dei grandi coloristi del fumetto franco-belga, e le sue meravigliose tinte pastello si adattano alla perfezione alle tavole e alle atmosfere delicate del racconto.
Curiosità: il volume, sia nell’edizione originale, sia in quella italiana (fedele quanto a valori produttivi), è più piccolo rispetto alla maggior parte degli altri della collana Glénat. In effetti, l’editore non ha imposto un “formato standard”, e così alcuni degli albi hanno dimensioni diversi rispetto al classico cartonato “alla francese” (24×32 cm) che comunque impera nella serie.