I Grandi Classici Disney 58
Sarebbe dovuto accadere prima o poi, ma ci si augurava non così presto. Se l’ultimo numero dei Grandi Classici, il 350 di gennaio 2016, si apriva con Paperino e il vecchio frac, il volume 58 della seconda serie della medesima testata si apre, repetita iuvant?, con… Paperino e il vecchio frac. Una scelta che per i fedeli ed affezionati lettori di vecchia data del mensile suona certamente un po’ stonata: in meno di cinque anni viene riproposta una storia che, seppur gradevole, sembra sottrarre spazio ad altro…
Ciò detto, comunque, di questo vecchio abito bisogna innanzitutto celebrare i disegni di un Massimo De Vita anni Novanta ancora perfettamente a suo agio con i paperi, dopo un decennio in cui aveva creato autentici capolavori con questi personaggi e appena prima della lunga fase dedicata quasi esclusivamente ai topi. La storia riprende, nel titolo e in alcune sequenze notturne, l’atmosfera malinconica di una celebre canzone di Modugno, gatto compreso, ma, superata la bonne nuit, punta tutta l’azione su una sequela continua di imprevisti che vedono buona parte del cast paperopolese messo alla prova da un elegante abito da sera. Il frac è l’oggetto magico, il meccanismo narrativo è fiabesco: acquistato da Paperone, il vestito passa alle Giovani Marmotte, e poi a Gastone, a Nonna Papera, a Paperina, per arrivare infine a casa di Paperino, dove da calamita di sventure si trasforma in occasione di riscatto per il suo originale proprietario, il solitario e infelice barone Rik von Tirkiofen.
Per certi aspetti – la presenza di un oggetto capace di attirare la sfortuna, la partecipazione di vari protagonisti di Paperopoli, il motore da cui parte l’azione (il papero più ricco del mondo), l’arco narrativo che volge verso una risoluzione positiva – la storia di Claudia Salvatori sembra riecheggiare Zio Paperone e l’inutile statuetta di Rudy Salvagnini e Giorgio Cavazzano che, sorpresa!, è attualmente riproposta nella Writers Edition dedicata allo sceneggiatore padovano. Leggerle entrambe nello stesso periodo può essere un esperimento interessante: idea simile, approcci diversi, ottimi risultati in entrambi i casi.
Ma non è soltanto con la vicenda sartoriale d’apertura che i Grandi Classici tendono a ripetersi. La sezione Superstar, infatti, stavolta intende celebrare il cinquantacinquesimo genetliaco di Super Pippo… presentando ai lettori l’ineffabile Pippo mago, già (ri)apparso sui Grandi Classici 213 del lontano agosto 2004. In questo caso, però, la ristampa è più che perdonabile ed è, anzi, la benvenuta: è passato abbastanza tempo per poter rivedere su queste pagine una delle varie avventure di Guido Martina in cui Pippo si ritrova a dover gestire poteri sovrannaturali o paranormali. In questo caso il Professore scrive quasi un prototipo della versione supereroistica del bislacco personaggio, anticipando di una decina d’anni l’intuizione degli autori dei comic book americani, con un Pippo capace di volare. I coprotagonisti di questa fiaba sono Biancaneve, i Sette Nani e Grimilde, grandi mattatori di una nicchia ben precisa del fumetto Disney italiano, presenti con il loro universo narrativo dagli anni Cinquanta fino ai primi anni Novanta. In questa storia, dunque, si punta totalmente sull’elemento magico, non c’è nulla che possa avvicinare il buon Pippo all’immagine del classico supereroe “all’americana” col mantello e – nel suo caso – con l’ormai iconico pigiamone di flanella: i “superpoteri” derivano dall’aver mangiato l’ennesima mela avvelenata indirizzata alla più bella del reame, l’aspetto che il protagonista assume è vicino a quello di una qualche creatura mitologica, i toni sono quelli del raccontino moraleggiante.
Ma tocca celebrare il super-alter ego di Pippo, e in questo caso la selezione delle Superstar a tema è ben calibrata: c’è la prima apparizione dell’outfit da supereroe, la prima menzione delle spagnolette e dei superpoteri veri e propri, un bonus disegnato da Romano Scarpa. Tutto sommato, considerando il più grosso difetto delle storie con questo personaggio, vale a dire una spiccata propensione alla ripetitività, ci si può ritenere soddisfatti: a fine lettura si ha una buona panoramica delle origini di Super Pippo. Creato da Del Connell e Paul Murry in una lunga avventura del 1965, la versione “ultra” di Goofy è originariamente basata su un colossale equivoco: credendo di aver ricevuto “fenomenali poteri cosmici”, Pippo si mette sulle tracce di Macchia Nera, che stavolta si diletta – in maniera decisamente sciocca, adattandosi allo standard del suo comic book di riferimento, The Phantom Blot – con il furto di bestiame nel West, novello emulo dei fuorilegge della Frontiera. Non c’è molto altro da dire, in realtà: l’esordio western dell’Ultra Pippo si mantiene su un buon livello nonostante alcune ingenuità che, contestualizzate, sono perdonabili. Più interessante è invece la vicenda dei Ladroni di Zanzipar, che restituisce archetipiche atmosfere esotiche destinate ai lettori statunitensi degli anni Sessanta. Minareti, sultani e predoni armati di scimitarre: stereotipi fuori tempo che fanno da sfondo alla storia che inaugura la fortunata collana di Super Goof, edita dal 1965 al 1984, e con essa la carriera vera e propria di Super Pippo.
In pochi anni il personaggio riscuote un certo successo, tanto che gli autori italiani di punta sono chiamati a disegnarne le eroiche gesta, da Giovan Battista Carpi a Luciano Bottaro fino a Romano Scarpa. Sono di quest’ultimo le matite de Il riduttore a pulsante, avventura pubblicata su Almanacco Topolino in cui la commistione di elementi topoliniani e paperopolesi si ripropone come un dato di fatto, senza troppi problemi: Archimede torna a indossare i panni di alleato dell’eroe; i Bassotti sono invece dei validi sostituti di Macchia Nera e, come quest’ultimo, appaiono interessati a razziare armenti da vari ranch del West.
Abbastanza inspiegabile, piuttosto, è la presenza tra le Superstar di Paperoga astro incompreso, divertente storia di Dick Kinney e Tony Strobl: il cugino di Paperino crea “solo” disastri in un circo, non ci sono superpoteri o altri eventuali collegamenti al tema della sezione monografica, a esclusione dello sceneggiatore condiviso con l’avventura scarpiana di Super Pippo. È sufficiente per averla in una vetrina così prestigiosa e, solitamente, ben costruita?
Paese che vai…
Tornando alla prima metà dell’albo, desta un certo interesse la presenza de La città dell’ingiustizia, che segna il debutto sui Grandi Classici di entrambi i suoi autori, Bruno Enna e Marco Palazzi. Pubblicata per la prima volta nel 2001, questa lunga avventura di Topolino vede il ritorno di un Macchia Nera quasi out of character, molto vicino alla sua versione, poco pericolosa, dei comic book di mezzo secolo fa. L’idea di una città abitata esclusivamente da malviventi, quasi un’enclave fuori dal tempo nello spazio delle grandi foreste canadesi, è invece abbastanza interessante, così come la questione del viaggio per salvare Basettoni dal suo rapitore misterioso.
C’è poco da dire infine sulle altre storie, tutte brevi non imperdibili. È apprezzabile la riscoperta delle avventure firmate da Marco Rota originariamente pubblicate da noi sul glorioso e indimenticato Zio Paperone, come Quando la Terra fu messa alla prova (che nel titolo richiama un classico del cinema fantascientifico, nonché una breve barksiana con Nonna Papera). Per completisti ed eventuali cultori si segnala poi la presenza di un’altra storiellina di produzione americana con Newton Pitagorico, protagonista di un felice revival su Topolino da alcuni mesi. La miniparodia ispirata al Ben-Hur di Lew Wallace rappresenta invece la consueta quota carioca, sostanzialmente uno spin-off in costume delle storie con Paperoga giornalista del Papersera. Sono tutti buoni esempi di riempitive che svolgono dignitosamente il proprio ruolo, preparando i lettori a piatti ben più sostanziosi e appaganti. Ma Super Pippo, il vecchio frac e Macchia Nera sindaco corrispondono, effettivamente, alla definizione di “piatto ricco”?
08 NOV 2020