Topolino 3539
Settimane fa, chi scrive queste righe si chiedeva dove stessimo andando. Oggi, forse, un’idea più chiara c’è: indietro.
Indietro era tornato Manetta, nella scorsa puntata de Gli Evaporati (Bruno Enna/Davide Cesarello), per spiegare ad Atomino che Topolino, nonostante tutto, non riesce a visualizzare la mappa mentale che gli è stata impiantata. Un momento inaspettato che consacra il “redemption arc” perfetto di uno dei personaggi più dimenticabili degli ultimi venticinque anni di settimanale.
Il rifarsi vivo di Atomino mediante una lettera recapitata nella dimensione “normale” innesca una serie di reazioni a catena fra i personaggi, soprattutto Gambadilegno che si trova nella difficile situazione di “meno temibile dei cattivi”. Un legittimo contrappasso per chi invece aveva avuto il ruolo di primo piano, in termini di… immoralità , nella stagione precedente; ne conseguono vari rivolgimenti di ruolo.
Insomma, una seconda puntata abbastanza di studio e di graduale rotazione degli equilibri, che predispone una situazione a parti invertite per il prossimo episodio: Macchia Nera in possesso del compound sulla collina e Topolino infiltrato senza problemi nel caveau in cui cerca a tutti i costi di ricostruire la strada verso la dimensione quantistica.
Nelle maglie di un soggetto, appunto, piuttosto diradato, si infila una sceneggiatura libera di ricamare piccoli dettagli: Gambadilegno che, al termine di un viaggio in moto, si stira la schiena come un grasso e sedentario gattone, o le variazioni sulla figura di Sgrinfia, abbagliato dalla tenebra caratteriale di Macchia Nera ma presto afflitto dai rimorsi di coscienza. Enna, in poche parole, fa l’Enna, nuovamente libero di lavorare come sa.
OoplÃ
Zio Paperone e il solid cloud ripropone Fabio Michelini (per i disegni di Blasco Pisapia) come erede ideale di Giorgio Pezzin: invenzione di Archimede con il potenziale di rivoluzionare la vita quotidiana di tutti, cattivo uso da parte di Paperone e/o Paperino, tragedia. Senz’altro la storia regge, ma dopo tanti anni manca la scintilla in grado, appunto, di dire qualcosa oltre il canovaccio.
Di Paperoga ne basta uno, di Francesco Vacca e Lucio Leoni, è una storia dallo spunto davvero facciniano, e sta al disegnatore sbizzarrirsi con il caos di un moltiplicato Paperoga.
Manca un po’ il mordente di Faccini, ma si sta comunque parlando di uno sceneggiatore da poco sbarcato su Topolino e che anzi sorprende per la discreta ma tutto sommato riuscita virata sul comico.
Merito da spartire con il disegnatore, fra i talenti meno valorizzati di Topolino, che riesce sempre a divertire con i suoi adorabili guizzi.
Paperozius e il vortice della sapienza, di Rudy Salvagnini e Federico Maria Cugliari (disegnatore da poco alla prova sul settimanale e che chi scrive personalmente trova assai apprezzabile) ha uno spunto simpatico: porre rimedio con la magia all’ignoranza abissale di Paperino (o meglio del suo alter ego in un ipotetico snodo della Storia).
Un classico
La conclusione è molto ben pensata, ma si sente che nello sviluppo mancano quei guizzi di umorismo che tengono in vita le storie di questo tipo: da cui un esito un po’ a metà nonostante il gran mestiere dello sceneggiatore padovano.
Ma è con Manetta e Rock Sassi in: Foresta d’asfalto che il gioco si fa duro. Matteo Venerus, al ritorno su storie brevi dopo l’impresa de Gli urbani paperi, spiazza, esponendo i sempiterni Manetta e Rock Sassi (ormai pallidi simulacri di poliziotti, quasi comparse parlanti nelle pur suggestive atmosfere urbane di Giuseppe Zironi) alla presenza di certo Wolfer, acrobatico agente della forestale di passaggio a Topolinia. Wolfer ha metodi tutti suoi, belluini e selvatici, per seguire una pista, e non la manda a dire alle figure di potere topolinesi.
I due metodi d’indagine, tradizionale e forestale, si intrecciano progressivamente. L’intenzione è quella di porli in contrasto e farli convergere sul finale, ma di fatto le due piste corrono semplicemente parallele. In teoria il lettore dovrebbe spiazzarsi sentendo Wolfer scartare una pista troppo banale… salvo vederlo poi seguire esattamente quella pista e risolvere il caso.
Le mille giravolte di Wolfer, a parere di lettore, fanno venire forse più vertigini che adrenalina, e si ha spesso l’esigenza di sedersi un attimo e capire attorno a cosa stia ruotando la trama. Zironi, pur nelle ambientazioni già dette, ha il suo daffare nello sballottare i personaggi di qua e di là in una perenne condizione di stupore e incapacità che è destinata a risolversi un po’ più per sfinimento che per altro.
Insomma, un numero strano, che abbandona definitivamente le istanze di omogeneità qualitativa che parevano tipiche della gestione bertaniana, tornando a guardare all’usato garantito, ai vecchi espedienti di trama, come a quella ossatura che cronicamente manca a questo altalenante settimanale.
Dopo un periodo di grandi manovre in cui anche sceneggiatori meno blasonati, se giustamente valorizzati, mostravano di poter fare cose più che valide, sembra un po’ che ci si sia arresi alla formula consueta: storie-evento firmate dai fuoriclasse che non riescono a puntellare il resto del numero, organizzato su rassicuranti trame già viste in forme lievemente diverse o da voli di fantasia un po’ interlocutori, forse perché privi dello spazio per dire qualcosa di compiuto.