Paperino, Zio Paperone e il ventino fatale

20 DIC 2023

Durante il Natale del 1951 una maggiore libertà editoriale permetteva di rappresentare una Paperopoli più realistica, non edulcorata. E in una quadrupla d’apertura così cupa da schiudersi di fronte al lettore in tutta la sua forza drammatica, vediamo tre anatroccoli camminare per il degradato quartiere di Shacktown (Agonia nella prima traduzione italiana) circondati da bambini il cui sguardo trasmette il dolore della miseria più nera.

La prima reazione dei paperotti è quanto di più umano possa essere: “Non dovevamo passare di qui, tornando da scuola”. Ma di fronte alla cruda realtà, in Qui, Quo e Qua fa capolino un profondo senso di colpa, che genera in loro un sentimento altrettanto umano, di solidarietà. Paperina si rivela essere la loro più utile alleata, in quanto dama da battaglia nell’attivismo da salotto che, per quanto superficiale, può dare un grande aiuto in questo nobile progetto: un personaggio sì di supporto ma con un sottofondo satirico di matrice tipicamente barksiana. 

Con il coinvolgimento della papera, questa commedia in penne e piume entra nel vivo, assumendo un ritmo frenetico e veri e propri toni da farsa. Per quanto la storia sia corale, a fare da volano di questa parte sarà il titolare della storia: Paperino, che, strappato dalla sua illusione di essere tra i paperopolesi più indigenti, si lancia in una frenetica e disperata caccia al valsente, spinto da un per lui inusuale slancio di generosità.

A questo punto fa capolino il nome del grande antagonista di questo atto: Paperon de’ Paperoni, qui pronto a mostrare il suo lato più egoista e arcigno. Benché il magnate non si sottragga al suo minimo sindacale di solidarietà, nega al contempo l’obolo di venticinque dollari per un trenino, in una nevrotica battaglia al superfluo sotto l’egida del risparmio.

Ma i generosi Paperi non si perdono d’animo e si attivano per racimolare la cifra, dividendosi: Paperino rimane quindi da solo alla ricerca degli ultimi cinque dollari in una sequenza da gran mattatore comico (il cui apice è forse l’esilarante  tavola da antologia in cui si troverà a chiedere il contributo a vari passanti), finché, esasperato, finisce col chiedere l’elemosina. Viene sorpreso dal ricco zio che, dopo un effimero moto di indignazione, ruba il posto al nipote in un estro di grottesca ingordigia. 

Troppo per Paperone, per noi lettori e soprattutto per l’autore, che è costretto a punire la tracotanza del vecchio spilorcio. Con l’intervento di un Gastone meno odioso del solito, Paperino si ritrova con una sostanziosa cifra e una moneta da un decino (un ventino per i lettori italiani) che, donata per scherno all’ingordo magnate, si tramuterà in strumento del Fato. Quando il fatale decino tocca la moltitudine di monete stipate nella cassaforte, tutto il denaro sparisce, anche quello promesso per il pranzo di Natale per i bambini di Shacktown. Il papero più ricco del mondo non solo diventa causa del suo stesso male, ma priva anche i poveri speranzosi bambini della cena promessa, in una sequenza così tragicomica da rasentare il sublime.

Ma questa tragicommedia avrà un lieto fine, con un ultimo sberleffo per lo spocchioso magnate, costretto ad essere grato proprio ad uno “stupido inutile trenino”. L’ultima tavola ci saluta con Shacktown nell’abbondanza di abeti, regali e soprattutto trenini, con tutti in festa. O meglio quasi tutti: Paperone deve ancora scontare la sua punizione e rivela al nipote che il trenino recupererà il denaro in tempi biblici.  E a Paperino (e a noi lettori) non resta altro che esplodere una grassa e calorosa risata. 

Autore dell'articolo: Leo Sorrentino

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