Topolino 3426
Non è un mistero che, da quando Alex Bertani ne ha preso le redini, la formula di Topolino sia andata gradualmente modificandosi fino a giungere a quello che fra me e me ho ribattezzato Weekly Topolino Jump. Notevole è infatti la somiglianza concettuale fra il nuovo settimanale bertaniano e i magazine a fumetti nipponici, caratterizzati da un certo numero di capitoli di serie on going con la rara presenza di brevi autoconclusive dette “one shot”. In questo numero troviamo infatti quattro storie, tutte in qualche maniera appartenenti a cicli o saghe, per un numero a grandi linee divisibile in due sezioni contrapposte.
Introdotto da una copertina meravigliosamente disegnata da Francesco D’Ippolito e impreziosita dalla stupenda colorazione di Mario Perrotta, Topolino 3426 si apre con la storia in due tempi Le Giovani Marmotte in Missione Tropici. Questa è la seconda grande avventura del rilancio delle Giovani Marmotte cominciato nel 2020 con Le GM in Operazione Alaska, di cui è, se non un seguito non dichiarato, una prosecuzione ideale. Le “nuove” GM, aperte anche alle ragazzine (in contrapposizione con la versione originaria, pensata per essere only for boys) presentano una composizione variegata e al passo coi tempi: ritroviamo quindi Beth, Michelle e Jamal, con l’aggiunta di Newton Pitagorico nella sua nuova incarnazione.
Sebbene la storia in sé abbia un inizio e una fine, con il MacGuffin rappresentato dai “coccodrilli locali” (ma di quale luogo?), la presenza di un misterioso avversario rimasto nell’ombra e il rapido evolversi delle dinamiche interne al gruppo, ci fanno capire come Missione Tropici sia di fatto il primo episodio di una saga. Dal punto di vista tematico la storia denuncia fin da subito la propria appartenenza al nuovo corso: i rapporti fra i personaggi sono o vorrebbero essere più realistici e c’è la dichiarata attenzione di approfondire personaggi e relazioni.
Una posa plastica contro gli innocui cattivoni
Questa intenzione si scontra tuttavia con la sceneggiatura di Francesco Vacca, che confeziona qui una storia sbilanciata e poco fluida, farcita di citazioni trite e con un finale a dir poco affrettato. La tavola di pagina 57, che dovrebbe rappresentare l’acme emotivo di Missione Tropici, viene disinnescata da una messa in scena poco convincente. La composizione della vignetta sembra richiamare – che Toriyama mi aiuti! – le buffe coreografie della Squadra Ginew. L’iniziale interesse per la vicenda finisce con l’afflosciarsi tra scrittura automatica e patemi preadolescenziali, e anche l’ennesima frattura fra i tre nipotini risulta pretestuosa e forzata.
A peggiorare le cose una certa imprecisione geografica per la quale l’autore rende poco chiara (almeno al principio) l’ambientazione precisa della storia, la quale deve essere in qualche modo dedotta dal lettore. L’impressione, comunque, è che, tra una citazione e l’altra, si stia cercando di creare una sorta di continuità tra avventure lontane nel tempo, una specie di “universo condiviso”, ma a farne le spese è la sostanza della storia in sé.
Buoni i disegni, sebbene molte tavole mi siano parse ingombre e affollate e con non pochi balloon a sovrapporsi fra loro e sui bordi: Mario Ferracina non aiuta il ritmo narrativo già discontinuo disseminando la storia di piccole vignette mute di raccordo di cui francamente non si capisce la funzione.
Alla ricerca di Ghoster, tra una citazione e l’altra
Va in scena con il terzo episodio il nuovo e forse ultimo scontro fra Topolino e Mister Vertigo, definito in precedenza “il più grande criminale del nostro tempo” – affermazione sulla quale ci potremmo attardare per numerose pagine, ma non è questa la sede opportuna. Dopo una sequenza di avventure di qualità decrescente, Topolino e il principe della menzogna perde buona parte dell’atmosfera cupa che era da annoverarsi fra i pregi della saga per portare avanti una indagine caratterizzata da scivoloni, indizi bizzarri e azioni deprecabili, come il furto compiuto da Topolino in Sei sospettati e un fantasma.
Nell’episodio di questa settimana, Sulle tracce di Paul Ghoster, Marco Nucci occupa tutto lo spazio concessogli con la ricostruzione della storia di questo misterioso scrittore, parodia di Paul Auster, che lo sceneggiatore bolognese inserisce nel prefinale di saga appositamente per condurci all’identità di Vertigo. Spiace notare come, a un episodio dalla fine, questa puntata risulti appesantita dalle innumerevoli citazioni cinematografiche e sia povera di avvenimenti strictu sensu, quasi che Nucci avesse difficoltà a gestire il numero di pagine a sua disposizione: molti dialoghi, alcuni oggettivamente poco utili al procedere della trama, e l’impressione generale che Topolino abbia gestito questa indagine ragionando a casaccio e compiendo azioni out of character.
Come nel precedente episodio, Nucci abbandona la struttura allotropica adottata nella seconda, terza e quarta storia del ciclo per passare a un poliziesco classico, “chiuso”, in cui l’indagine del detective dovrebbe portare a una progressione a imbuto che qui non si verifica giacché, dei sette sospettati legati alla Mousinger, sei risultano dei meri distrattori introdotti all’ultimo momento, forse per dare maggiore concretezza al Concorso dell’estate.
Salutiamo qui Eta Beta e Flip, la cui presenza risulta al momento più che altro una citazione a Topolino e la banda della morte (purtroppo con ben altri esiti). Nella media i disegni di Ottavio Panaro, su cui c’è poco da dire se non che, con la propria morbidezza, contribuiscono all’atmosfera “infantile” e innocua del tutto. Manca quel tocco di noir che aveva caratterizzato gli altri enigmi vertighiani e che, come detto, rappresentavano un chiaro elemento positivo.
La seconda parte dell’albo di questa settimana, a mia opinione la migliore, è occupata da due storie molto classiche.
Pippo, Posidippo e Misantrippus
Col suo sapore anni Novanta Pippo e l’incompatibile compagnia, di Roberto Moscato e Nicola Tosolini, risulta gradevole al palato dei lettori più ȃgés, è simpatica e ben sceneggiata. I disegni di un Tosolini perfettamente a fuoco danno corpo a una commedia fra le più classiche, basata sul meccanismo della “strana coppia” che tante volte abbiamo visto applicato a Paperino e Paperoga.
L’esito finale di questa peculiare buddy comedy è leggero e gradevole anche grazie al bis-cugino Posidippo, già visto in Pippo e il parente pedante, che affiancato a Pippo funziona alla perfezione. Dato il recupero a stretto giro di questo nuovo personaggio c’è da immaginare che sia previsto un suo ritorno a breve, magari affiancato al solo Topolino, o quantomeno lo spero: questa creatura di Moscato ha notevoli potenzialità comiche e non mi spiacerebbe neppure vederlo gestito da altri autori con una buona predisposizione alla commedia surreale.
In conclusione di albo troviamo invece una buona avventura di Alessio Coppola autore completo, che mette in scena con mestiere l’ennesimo complotto dei Bassotti ai danni di Paperone. Ne I Bassotti e Zio Paperone in: Cloni, droni &… bidoni ritroviamo il bizzarro professor Hans Sdrubel, già apparso in Zio Paperone e l’affare air-water e in Zio Paperone e la memoria del fenicottero, che con la sua presenza dà un pizzico di orizzontalità anche a questa storia, comunque fruibile di per sé.
Cloni, droni & bidoni ha un ritmo sostenuto e riesce anche a sfruttare adeguatamente l’espediente “pubblicitario” della presenza del drone. I disegni di Coppola hanno un sapore vagamente retrò che ho molto apprezzato, e anche se non tutti i passaggi narrativi risultano chiari la storia è ottima nella propria semplicità. Da notare che nel titolo, gradevole e molto vecchio stile, i Bassotti vengono posti prima di Paperone, a rimarcare il suo ruolo di comprimario.
Conclude il tutto una brevissima intervista al veterano Tito Faraci, che nel prossimo numero ritroveremo sulle pagine del settimanale con una storia in più tempi intitolata Topolino e l’oscura finale.
L’impressione complessiva, dopo averci ragionato un po’, è che Topolino 3426 sia altalenante, separato in due metà colloquianti molto male fra loro. Da un lato due avventure classiche, ancorché non autoconclusive o solo apparentemente autoconclusive, realizzate da due autori a proprio agio con la materia narrata; dall’altro due episodi di saghe a lungo termine su cui la Direzione attuale punta molto e che però offrono poco in termini di sostanza, reggendo buona parte del proprio senso di esistere sul peso gravitazionale rappresentato dalla esistenza pregressa o dalla promessa di orizzontalità.
Non manca molto prima che ci si debba interrogare criticamente sui primi esiti della visione bertaniana del settimanale. Per ora mi limito a rilevare come tutte le storie proposte, da quelle migliori a quelle meno riuscite, presentino continuità e personaggi ricorrenti. La linea editoriale di Topolino non è mai stata così chiara.
Da Weekly Topolino Jump è tutto per questa settimana: ci ritroviamo mercoledì con la rivelazione dell’identità di Mister Vertigo.